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DOTTRINA ELEMENTARE
DELLA GEOGRAFIA FISICA

CAPITOLO III - DELL’ATMOSFERA

I. NATURA, E QUALITÀ DI ESSA

avanti

Indice

III. Delle correnti 

  1. Divisione delle correnti

  2. Dell'andamento delle correnti

  3. Rapidità delle correnti

  4. Dell'andamento della corrente propriamente detta

  5. Dello stato dell'acqua

  6. Del dominio della corrente

  7. Del modo con cui la corrente forma il suo dominio e il suo letto

  8. Dello svanire di alcuni fiumi

  9. Del mormorio particolare di alcuni fiumi

  10. Dell'arresto dei fiumi e del loro regresso

  11. Delle cadute di acqua

  12. Della somma dell'acqua che contengono i fiumi

  13. Delle inondazioni

  14. Del fondo del fiume e delle materie che i fiumi conducono seco

  15. Della temperatura dei fiumi

  16. Di alcuni fiumi grandi

IV. Dei laghi

  1. Determinazione dei laghi

  2. Divisione dei laghi

  3. Di alcuni fenomeni intorno ai laghi

  4. Di alcuni laghi notabilissimi

V. Degli abitatori dei laghi e dei fiumi

VI. Della densità e delle parti consistenti del centro della terra in generale

Capitolo III – Dell'atmosfera

I. Natura e qualità di essa

  1. Definizione di atmosfera

  2. Qualità dell'atmosfera

  3. Mezzi per iscoprire la compressione e la densità dell'aria

  4. Dei cangiamenti dello stato del baromentro

Della macchina pneumatica

Dell'altezza dell'atmosfera

Della macchina areostatica

Di alcune diversità dell'atmosfera

Delle specie dei Gas

Storia dell'atmosfera

De’ gas

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Dal fin qui detto abbiamo potuta rilevare irrefragabilmente, che l’aria atmosferica non sia mai pura, ma che contenga varie materie in essa innalzatesi, provenienti dalla respirazione degli animali, delle piante, ec. Queste sono da essa disciolte in parte, indi cangiate in aria, e in parte solamente sostenute e condotte in forma aerea, sintanto che queste parti si separano, precipitandosi poi di nuovo come nebbia o rugiada.

Perciò non è aria tutto quello che ci comparisce come tale, e l’acqua cuocendo cangiasi in vapore che sembra aria; ma togliendone il calore, perde l’elasticità imprestata, radunasi in gocce, e diventa acqua.

Anche l’aria atmosferica, necessaria per la respirazione, separata accuratamente dalla luce, dall’elemento igneo, dalla materia elettrica e magnetica (che non possiamo rinchiudere in nessun vaso), come anche da vapori, che privi di calore cangiansi in gocce visibili, anzi in corpi duri come il ghiaccio, quanto anche da’ vapori dissipati mediante la compressione; questo fluido affatto invisibile, dico, esteso considerabilmente per

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via del calore, e variato dal freddo quanto alla densità, ma non nella sua natura, il quale durante la più forte condensazione del freddo conserva una elasticità permanente, e che può essere racchiuso per degli anni in vasi, archibugia vento ec., senza variare o diminuirsi, non è un elemento semplice, come non lo è neppure l’acqua; ma è composto di molte materie proprie e primitive, e di diverse specie di gas, assai diverse ed anzi opposte tra loro, le quali dobbiamo conoscere per spiegare in un modo semplice le meteore ignee ed umide, per aver concezioni giuste della natura in generale, della chimica di essa, e delle composizioni della medesima, della natura de’ corpi, e della causa vera della combustione. Queste materie furono da alcuni antichi chimici, e particolarmente da Hellmond, chiamati gas.

Coprendo un lume posto nell’aria atmosferica con una campana, lo vedremo ardere in principio affatto chiaro, indi diventare più oscuro, ed in fine estinguersi. Ponendovi poi un altro lume non brucierà più, e neppure il carbone resterà acceso; ponendovi in seguito un piccolo animale, come

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un uccello, un sorcio ec., morirà dopo alcuni respiri affannati. Facendo poi il contrario, e lasciandovi morire prima l’uccello, e ponendovi appresso il lume, vedremo che questo si smorza, appena messo sotto la campana. Il lume ha lasciato circa un terzo dell’aria necessaria per bruciare e per respirare, e l’animale ha imbevuto l’ultima parte di essa. Il restante è ancora aria vera, e può esser compressa, estesa e conservata; ma non è atto alla respirazione. Volendo introdurvi un altro animale more al primo respiro; perché possiamo chiamare quest’aria gas flogistico azoto.

L’aria che inspiriamo è affatto diversa da quella che mandiamo fuori. Essa non si unisce all’acqua, impedisce il crescere delle piante(1), ed è nociva a qualunque vegetazione. Non di meno forma una grandissima parte dell’aria atmosferica, e tre quarti di

(1) Joh. Ingenhouss Abhandlung ueber die Natur der dephlogistisirten Luft und die Art. Sie zuerhalten und sie einzuathmen. Nelle sue opere diverse, Vienna 1785 tom. 2 dello stesso Versuche mit Splanzen ec., tradotte e pubblicate da Scherer,  Vienna 1786-1790. 8  in 3 tomi.

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questa sono composte di azoto, ed un quarto è favorevole alla fiamma, alla vegetazione ed alla respirazione.

I nostri polmoni stanno relativamente all’aria, come un carbone o un lume. Essi imbevono l’aria atmosferica, attraggono una parte di essa, che vogliamo chiamare aria vitale, gas ossigeno, aria deflogistica, e mandano fuori l’azoto, unito a qualche materia organica disciolta in loro, durante la decomposizione dell’aria; e siccome questa operazione procede rapidamente, e l’azoto è minor conduttore del calorico che l’ossigeno non è, così producesi a ciascun respiro un nuovo calorico ne’ polmoni. L’esperienza insegna almeno, che il cangiamento al quale l’aria respirata è sottoposta, sia affatto simile a quello cagionato dal fuoco e che tutti gli animali respiranti pe’ polmoni, abbiano un sangue caldo, e questo calore accrescasi per la maggior estensione de’ polmoni, come negli uccelli, e diminuisca in quelli animali che non respirano pe’ polmoni, come i pesci,  e quindi il loro sangue sia della temperatura dell’elemento in cui vivono, cioè freddo.

In una piccola stanza racchiusa, ove penetra

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poca aria fresca atmosferica, i lumi incominciano a bruciare ben presto oscuri e languidi, mentre in una sala grande hanno uno splendore più vivo. Trovandovisi però molte persone, come in una sala da ballo, perdono appoco appoco lo splendore, ed il respiro diventa più penoso. Questo fenomeno si attribuisce comunemente alle traspirazioni, che in fatti vi contribuiscono qualche cosa, ma la maggior parte di essi trae origine dal respiro. Un uomo adulto respira 20 volte per minuto, imbeve a ciascun respiro 30 pollici cubici di aria comune, ed il suo polso batte per minuto 80 volte. Da ciò possiamo dedurre in circa la quantità di aria necessaria, e rilevare in quale spazio di tempo dovrebbe morire una persona, se fosse rinchiusa dentro uno spazio angusto, ove l’aria atmosferica non, vi penetrasse. Le febbri delle carceri nascono in parte da un’atmosfera sopraccaricata di azoto.

Sopra i bascimenti che trasportano gli schiavi, ove si radunano molti negri in un piccolo spazio, muore ordinariamente una gran parte nel tragitto, e ciò per mancanza di aria fresca; e l’interesse proprio non ha potuto ancora evitare interamente

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questo male. Gli Europei stessi ne fecero una esperienza simile. Il capitano inglese Holwell, fatto prigione in Kalcutta, unitamente a 146 de’ suoi compatriotti, nel 1756 dal Nabob Surajah Daula, regnante in Bengala come vassallo del gran Mogol, fu rinchiuso co’ suoi dentro una prigione sotterranea lunga 18 piedi, e larga 11, e fornita verso il nord di due piccole finestre inferriate. Dopo un piccolo spazio di tempo gridavano tutti per mancanza di aria; i più forti cercavano di guadagnare la porta, o avvicinarsi alle finestre; ma tutti sorpresi dalla stanchezza, si misero in terra e si rialzarono subito; l’ossigeno si consumò sempre di più, e lo spazio fu sopraccaricato di azoto; ond’è che l’uno morì dopo l’altro, non tanto dalla sete e dal calore, quanto da mancanza di aria respirabile; ed aprendo la carcere l’indimani, se ne poterono strascinar fuori appena 23, i quali erano deboli, ammalati ad attaccati del più alto grado della febbre putrida; 123 erano morti(1).

(1) Questo fatto è raccontato in modo assai commovente nell’opera di Zimmermann sull’esperienza, tom. 2. Joe Viaggi tom. I. p. 162.

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Quest’aria è chiamata anche flogistica, poiché i polmoni, secondo la spiegazione di alcuni fisici, mandano fuori del flogisto, o della materia infiammabile, caricando con ciò l’aria, mentre al contrario il fuoco la respira. Secondo il sistema antiflogistico quest’aria è composta di una materia propria, cioè di azoto, che rinchiude anche la base dell’acido nitroso, ed è accompagnata di calorico, per il che è chiamata gas azotico(1). Quest’aria si riceve facilissimamente nella via descritta qui sopra, cioè dall’aria atmosferica, lasciandovi morire un animale; essa però non è affatto pura, ma è mischiata di una specie particolare di aria chiamata mefitica, scoperta da Berthollet ne’ gonfiotti de’ carpioni. Ingenhouss trovò che quest’aria si sviluppa dalle piante di notte, e quando splende il sole dalla maggior parte de’ frutti. Possiamo anche raccoglierla, facendo passare i vapori dell’acqua bollente per una canna di pipa di terra fatta rovente; ma né anche in questo modo è pura, e conduce seco

(1) Quasi un’aria priva di vita, un’aria che uccide.

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molte parti straniere. Il metodo più sicuro per averla pura, è di raccoglierla dalla calcinazione de’ metalli ne’ vasi di vetro rinchiusi. Questi metalli si espongono ad un calore fortissimo, ove si cangiano in materia terrosa, fragile e sbriciolata, priva della pieghevolezza e dello splendore de’ metalli, la quale non si può battere più, né fonderla, ed è specificamente più leggera di quella; ma che riguardo al peso cresce nella massa, totale, di modo che 10 libbre di piombo ne danno 11 di minio; 10 libbre di ferro, 13 di ocrio(1); 415 grani di mercurio 450 grani di una polvere, rossa e luccicante. Questo peso aumentato non può nascere altrimenti che per l’aria imbevuta , e quella parte dell’aria che si stacca dall’atmosferica, è precisamente la stessa che

(1) Lavoisier ha reso assai chiaro questo fenomeno. Egli fece calcinare alcuni pezzi di metallo, esattamente pesati, posti in vasi chiusi di vetro al fuoco. I vasi, dopo la calcinazione, avevano lo stesso peso come prima, ma le parti isolate avevano cangiato il peso. L’aria si era diminuita, ed aprendo i vasi vi penetrò sibilando l’aria atmosferica. I pezzi metallici calcinati pesavano più di prima.

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serve alla respirazione, penetra i metalli, e si comprime in essi. Per esser convinti che solamente l’ossigeno calcina i metalli, possiamo mettere dentro una storta del mercurio precipitato per sé, calcinato lentamente al fuoco, ed un metallo puro, e riscaldarla sino al grado che diventa rosso il vetro, e allora osserveremo il mercurio fluido, e l’altro metallo calcinato. Lavoisier, per esempio, pose dentro una storia 100 grani di limatura pura di ferro e 450 grani di mercurio precipitato per sé, é dopo averla riscaldata, ricevette 415 grani di mercurio mobile, e 132 grani di calcinato di ferro. Il mercurio si unisce poco coll’ossigeno, e per esserne penetrato all’aria aperta ed essere ridotto in polvere rossa, si richiedono molti mesi; d’altronde lascia facilissimamente quest’aria. Quello che ci persuade pienamente di ciò che abbiamo esposto, è che da tutte le calci metalliche riceviamo un ossigeno puro.

Riscaldando molto il mercurio precipitato dentro un vaso chiuso e vuoto di aria, separasi la parte dell’aria imbevuta, mediante il movimento interno prodotto dal calore, e si riproduce l’ossigeno ed un vero

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mercurio fluido(1). Priestley, il primo scopritore di quest’aria, in opposizione alla flogistica colla quale è mista nell’atmosfera, e dalla quale si divide mediante la calcinazione de’ metalli, la chiamò aria deflogisticata. Essa ha delle proprietà singolari e preferibili, come

1. I lumi vi bruciano 6 e sino 8 volte più, e con maggior chiarezza. Il fosforo vi luccica con uno splendore fortissimo. Il solfo vi arde con un fuoco chiaro e rosso. Un pezzo di carta ardendovi senza fiamma, ovvero un pezzo di legno, di esca, o stoppino, miccia, pastiglia per profumare, carbone ec. prendono subito fiamma.

2. La fiamma dà un calore maggiore. Prendendo, per esempio, una vescica di aria ossigena, e legando al collo di essa un tubo che va terminando in una punta sottile, e tenendo quest’apertura verso la fiamma in direzione orizzontale, e comprimendo la vescica, cangiasi questa piccola fiamma in un raggio di fuoco, il di cui effetto è simile alla forza di un grande specchio

(1) Ved. Voigt Magazin vol. VI. quint. 4 p. 42-52.

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ardente; esso scioglierà il vetro, i metalli, ed anche i grani della platina. Le molle d’acciaio esposte a questo fuoco, vi prendono una fiamma bella e chiara.

3. Gli animali respirano in essa con maggior facilità; ed essendo racchiusi sotto una campana piena di quest’aria, vivono 7 e sino 8 volte più che in un’altra riempiuta di aria atmosferica. Priestley, Fontana ed altri fisici l’hanno inspirata, e sostengono di averne sentito un piacere sommo. Anche l’esperienza ha fatto vedere che quest’aria sia salubre e benefica a tutte le persone di petto stretto, come anche a’ tisici ed a quelli che svanirono per aver respirato arie perniziose. Essa è l’unica aria respirabile propriamente detta, e l’atmosferica lo è solamente riguardo alla porzione di ossigeno che racchiude. 

4. Essa ha un peso specifico maggiore dell’aria atmosferica. Se per esempio questo è eguale a 1, quello dell’aria ossigenata è come 1 a 103. Essa non ha segni di acido, benché, secondo l’opinione degli antiflogistici, riunisca il principio ossigeno solamente col calorico. Si unisce difficilmente coll’acqua, la quale però, secondo Fontana, essendo vuota di aria, imbeve dallo

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ossigeno la quattordicesima parte del suo volume.

Quest’aria ossigena non si trova in natura, e non mai sola consistente per sé, benché si sviluppi continuamente dalle piante, che sono esposte ai raggi solari. Ponendoci dunque di mezzo giorno nell’estate sotto un albero, o camminando dentro un bosco ci sentiamo ristorati, loché non nasce dall’ombra rinfrescante, ma sopra tutto dall’aria più pura sviluppata dall’albero. Questo processo fassi unicamente da’ rami e dalle foglie, i fiori ed i frutti non ne prendono parte. Ponendo alcuni di questi ramicelli sotto una campana al sole, in modo che il sole batta sulla parte lucida delle foglie, osserverassi che sulla parte inferiore delle foglie nasceranno delle piccole vescichette, le quali si raccolgono sulla parte superiore della campana. Quelle vescichette che sono troppo piccole da non potersi staccare dalle foglie, possono essere levate mediante un piccolo fil di ferro. Possiamo ancora favorire maggiormente lo sviluppo di quest’aria, facendo cadere su queste foglie una luce refratta, oppure i raggi solari indeboliti, poiché la luce pura sembra indebolire la pianta;

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è anche meglio il fare questa operazione nell’aria, che sopra o dentro l’acqua, come sogliono fare alcuni, ed in tal guisa si raccoglierà un vaso di aria ossigena di ottima qualità. La luna non favorisce punto lo sviluppo di quest’aria dalle piante, poiché richiedesi in tal processo non solamente la luce, ma pure un certo grado di calore. Senza la luce solare però nasce un effetto tutto contrario. Anche le piante poste all’ombra, in tempo di mezzo giorno, caricano l’aria di azoto, e rendono l’aria ossigenata per qualche tempo inabile al nutrimento della fiamma e della vegetazione. Quindi non sono molto raccomandabili le passeggiate sui campi al chiaro della luna, quando l’intero regno vegetabile tramanda veleno. Non ostante secondo Ingenhouss, le piante sviluppano, durante la notte, appena una centesima parte di azoto, in confronto dell’ossigeno che generano esse in poche ore in una bella giornata d’estate. Quindi possiamo considerare il regno vegetabile come il laboratorio in cui si purifica incessantemente l’aria atmosferica, mediante l’arsione, e la respirazione.

Questa qualità benefica non è però propria

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nell’istesso grado a tutte le piante, e neppure è distribuita secondo l’odore piacevole, la bellezza de’ colori e le forze medicinali; il solatro, la cicuta, il giusquiano ec., sviluppano al contrario un’aria ossigenata eccellente, ed alcune piante aquatiche, come anche quella melma verde che si attacca intorno ai serbatoi d’acqua, la danno più pura.

Per purificare e rinfrescare le stanze sarà sufficiente di porre al sole varie piante con molte foglie e pochi fiori, e levarle quando è passato il sole. I fiori belli rendono l’aria molto azota. Priestley posta una rosa nel miglior fiore sotto una campana d’aria atmosferica, trovò il giorno susseguente che la rosa non aveva perduto nulla della sua bellezza, ma l’aria piena d’azoto, ed inservibile alla respirazione. Il tuberoso, e tutt’i fiori che tramandano molto odore, guastano l’aria ancora di più. Nulla è più nocivo che porre questi fiori nelle stanze o in seno; e quella cera pallida sul volto di tante nostre Veneri, è ordinariamente un dono de’ figli invidiosi di Flora.

Quest’aria procurasi artificialmente dal

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sal nitro, o dal manganese, esponendosi gradatamente ad un fuoco ardente dentro una storta coperta al di fuori di argilla: sciogliendosi le parti, incomincia a passare l’aria sviluppata pel collo della storta dentro un fiasco rovesciato di acqua. Le vesciche di aria passano rapidamente, si raccolgono dentro il fiasco, e spingono fuori l’acqua. Fontana ricevette da un pollice cubico di sal nitro, 800 pollici cubici di aria, ed Ingenhouss da 4 oncie di sal nitro purificato 3000 pollici cubici di aria. Quest’aria può anche procurarsi, facendo passare i vapori dell’acido nitroso per una canna di pipa di terra.

Con quest’aria deflogisticata, che da Scheele ed altri è chiamata anche aria ignea, non dobbiamo confondere il gas infiammabile, che ha le qualità tutt’opposte, e ch’è affatto inservibile al nutrimento del fuoco. Esso al contrario può essere messo in fiamma da sé stesso, e ciò sarebbe sufficiente per distinguerlo dall’aria deflogistica.

Questo gas infiammabile, cadendo frequentemente sott’occhio, è conosciuto da tempi rimotissimi. Esso sviluppasi quasi sopra qualunque stagno, e molti viaggiatori ne sono stati ingannati in tempo di notte. Frequentemente

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ritrovasi anche nelle miniere profonde, particolarmente in quelle di carbon fossile, ove i Canopi lo conoscono, e lo temono sotto il nome di Bergschwaden. Spesso questo gas si accende pe’ lumi de’ Canopi, e minaccia la loro rovina. Nel 1752 ne furono lacerati tre uomini nelle miniere di Newcastle. Essendo esso più leggero dell’aria atmosferica, ed inalzandosi in essa, i Canopi per salvarsi in caso di disgrazia si gettano col volto per terra. L’odore è sempre cattivo, loché nasce probabilmente da molte parti organiche di cui è pregna. Avvicinandovisi l’aria atmosferica, s’infiamma da sé con istrepito. Esso non può bruciare senza l’aria atmosferica, anzi come fu detto, estinguerebbe una candela accesa, o un carbone ardente. Gli animali posti in un vaso riempiuto di quest’aria sono sorpresi subito dalle convulsioni e muoiono. Il conte Saluces malgrado la sua robustezza, facendo vari e ripetuti esperimenti di questo gas, ne ricevette fortissime febbri intermittenti. Il dottore. Ludwig in Lipsia perì durante i preparativi di un areostato con aria infiammabile. 

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Karstens a Halle accelerò per questo gas la sua morte(1).

Troviamo nelle transazioni filosofiche, che nel 1677, il pozzo medio di que’ tre i quali conducevano ad una miniera spaziosa di carbon fossile, bruciava spesso con uno strepito come il tuono. Uno de’ lavoranti montandovi il primo giorno di Pentecoste per cercare degli arnesi, e giunto col lume in mano quasi alla superficie, fu tutt’ad un tratto circondato da una fiamma che gli bruciò il volto, le mani, i capelli e gli abiti, e nell’istesso tempo sentì un piccolo strepito. Altri lavoranti soffrirono ancora di più in questo momento, poiché furono gettati in terra, si ruppero il collo, ed il loro corpo restò schiacciato. Lo strepito nella miniera non era più forte che quando si batte fuoco; sopra terra però, la quale si scosse, rassembrava al tuono Il carbon fossile fu gettato ad un’altezza considerabile. La fiamma durò nella miniera alcuni minuti dopo lo scoppio, e si sparse

(1) Ved. Voigt Magazin fuer das Neueste aus der Physik tom. X. quint. 2 p. 33.

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dappertutto un forte odore di solfo, fino nelle miniere vicine.

Un uffiziale di miniere discendendo profondamente in quelle di stagno di Cornwallis osservò, a qualche distanza da’ lavoranti, dentro un angolo che non dava più metallo, un piccolo vapore bianco della grandezza di una noce, il quale si moveva sopra terra innanzi ed indietro. Egli lo fece accendere, e ne nacque una forte esplosione, senza produrre alcun danno. Alcuni giorni dopo vi osservò un globetto simile, che non fece accendere, per osservare meglio la formazione di questi vapori; nel quarto giorno si era ingrossato come una palla, e nel quinto come la testa d’un uomo. Il globo restò sferico, e s’innalzò sempre più in confronto della sua grossezza. Inquieto sopra l’ingrandimento rapido di esso, voleva accenderlo prima di riempiere i canali: i lavoranti dunque si ritirarono da esso in distanza di 28 pertiche, e l’incendiarono con un lume attaccato ad una stanga. Lo scoppio, assomigliò alla scarica di più pezzi di artiglieria, e il suo fuoco si estese sino ai lavoranti, e distaccò molti sassi, senza però danneggiare

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la sortita. L’ufficiale portatosi alla superficie, trovossi precisamente sopra l’entrata coperta da un tetto forte, allora quando sentì un tuono fortissimo, accompagnato da una colonna di fuoco simile al salnitro acceso, la quale s’innalzò sino a 40 piedi. Questo fuoco accese una capanna in vicinanza, e vi bruciò il proprietario. In poca distanza si trovò il cadavere d’un Canopo, che n’era stato sorpreso rimontando la miniera, ed era stato gettato fin qui. Tutto il pozzo della miniera era riempiuto di pezzi di rocce staccate, ed i 18 Canopi restati in dietro furono uccisi. L’apparenza di quest’aria infiammabile, prima di scoppiare, prova l’essere di materie organiche compatte, particolarmente di vapori di acqua. È noto che quest’aria discioglie fortemente l’acqua, ed a segno tale, che spesse volte perde la sua qualità combustibile. Al contrario è disciolta nell’acqua vuota di aria, la quale ne imbeve sino ad un tredicesimo del di lei volume, mentre dall’aria comune ne riceve un 36 circa. L’acqua comune saziata di aria, non attacca il gas infiammabile puro, ma bensì il gas pregno di materie eterogenee,

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di parti organiche ec., per esempio il Bergschwaden, i fuochi fatui ec.

Varie piante, particolarmente le aquatiche, essendo in fiore, spandono moltissima aria infiammabile da poter accenderla col lume. La figlia di Lnaneo dice aver osservato il luccicare di alcune piante nel buio come del tropuolum majus L, del dictamus albus L.; e varie altre. Ingenhouss però ne’ suoi esperimenti sulle piante(1), non ha potuto confermare questo luccicare per esperienza propria, ma neppure ha potuto negarlo. Il legno sufficientemente riscaldato, sviluppa l’aria infiammabile sì rapidamente e copiosa mente, che conduce seco molte parti eterogenee non composte, e comparisce come un fumo grosso. Anche ne’ vasi chiusi ove il legno non può bruciare raccogliesi molt’aria infiammabile quando il legno è ben riscaldato. Potremmo riportare l’osservazione di Wolf(2) che da’ forni, o troppo riscaldati, o contenenti della legna

(1) Ingenhouss Versuche mit Pflanzeb. ec., tradotto da Scherer, Vienna tom. 1. 1786 tom. 2 e 3 1790.

(2) Ved. Nuezliche Versuche tom, 2 p. 358.

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soprabbondante di resina; sortì la fiamma in guisa d’un globo igneo, cagionando poi effetti singolarissimi e violentissimi, come a Breslavia ove incendio gli uomini stordendoli e gettandoli in terra; spaccando i forni da pane, e scuotendo la casa intera con molto strepito, ed in guisa tale, che le finestre furono gettate in distanza di 25 passi sulla strada: quivi il globo si divise in tante scintille innumerabili, e rischiarò l’atmosfera come un fulmine. I fornai chiamano quest’aria ignea Wolf lupo, e il fenomeno di essa non è tanto raro. Alcuni suppongono in casi simili l’influenza elettrica; ma questa dovrebbe agirvi unicamente sulla forma sferica.

Gl’intestini, e lo stomaco degli animali e degli uomini sono pieni di gas infiammabile, il quale si accende talvolta da sé. Nella collezione di Goulard intorno ai casi singolari(1), narrasi che il chirurgo le Duo a Parigi fu chiamato da una partoriente che da tre giorni combatteva colle doglie. Tutte le acque erano perdute, il figlio era morto,

(1) Lipsia 1781.

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e le parti incancrenite a segno che gli stromenti si staccarono. Finalmente riuscì al chirurgo di liberare la donna; ma appena fu fuori il figlio, e prima che venisse la seconda, proruppe dall’uretra una fiamma di odore solfureo, che cagionò un calore sentito sulle mani da due persone che tenevano la partoriente. La fiamma sortì impetuosamente, si sparse per alcuni passi, indi si estinse riempiendo però la stanza di fumo.

Un abitante del villaggio di Enan, vicino a Neufchatel, aveva nel 1751 un bove che da qualche tempo si gonfiava moltissimo, quindi, servendo i medicamenti solamente per breve tempo, concluse di ucciderlo. Aprendolo proruppe una fiamma con istrepito, la quale s’innalzò più di 5 piedi, bruciando i capelli e le ciglia al macellaio e ad una ragazza ivi presente. Ciò è accaduto spesso aprendo i cadaveri umani(1). Le persone che usano molte bevande riscaldanti, o che vi si lavano, si accendono anche

(1) Alcuni esempi si trovano nel Dictionnaire des merveilles de la nature. Paris 1781.

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internamente, e la fiamma sorte loro dalla bocca, oppure le consuma internamente. Le Cat, nel suo trattato sul corpo animale ha riportato molti esempi di questo genere d’infiammazioni spontanee. 

Il fatto più conosciuto è quello della contessa Cornelia Bandi Zangari, che nel 1731, addì 4 d’aprile, abbruciò in Cesena. Essa nell’età di 62 anni, e sana, come all’ordinario, si sentì quella sera pigra e sonnolente. Dopo essersi levata da tavola si occupò ancora 3 ore in preghiere ed in colloquio; indi fu chiusa nella sua stanza e la dimane si trovò in vece di essa un mucchietto di cenere 4 piedi distante dal letto; unite alle gambe, dal ginocchio in giù portante ancora le calzette, tra di esse giaceva la testa, di cui il cervello, la metà dell’occipite, e la pelle erano ridotte in cenere. Accanto a questa si trovarono tre dita totalmente incarbonite. L’aria della stanza aveva della fuliggine, in terra vi restò una piccola lampada senza olio, sulla tavola due candelieri ove era scolato il sego; il letto era intatto, e la coperta era gettata in dietro come suol farsi discendendo dal letto; la tappezzeria del letto, come le pareti delle stanze

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erano coperte di una fuliggine cenerina e umida. Essa costumava lavare spesso l’intero corpo con lo spirito di canfora, che aveva generato probabilmente molt’aria infiammabile nel corpo. Sentendosi sorpresa dal fuoco si era probabilmente alzata, ed aveva fatto que pochi passi tra il letto e gli avanzi delle sue membra che si trovarono. Il celebre Bianchini a Verona ha cautamente esaminato, e descritto questo caso, come anche Scipione Maffei, la filosofica transazione(1) ed altri. Questo avvenimento è fuori di dubbio, come anche tanti altri raccontati da Le Cat, nelle transazioni filosofiche del 1744 giugno, luglio ed agosto, e nel primo volume del Magazzino di Amburgo ec. Il caso più recentemente pubblicato in questo genere è quello del prete Don S. Maria Bertholi abitante di Monte Valere in vicinanza di Fivizzano. Egli partì nel 1787 per affari pel mercato di Filetto, e dopo aver passata la giornata camminando, andò la sera a Ferale, ove restò presso il suo cognato. Appena giuntovi, pregò di essere condotto nella camera

(1) Num. 476 p. 447.

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a lui destinata; egli fece mettersi sul dorso un fazzoletto tra la pelle e la camicia, e rimasto solo, incominciò a dire le sue preghiere. Dopo alcuni minuti si sentì nella sua stanza uno strepito singolare e il grido del prete. Accorrendovi subito si trovò l’ecclesiastico steso per terra, circondato da una fiammetta, che all’avvicinarsi delle persone si allontanò, e finalmente si disperse. La domane trovò il medico la pelle del braccio dritto del paziente eguale al sinistro, cioè staccata, e pendente, e la pelle tra le spalle e le coscie era offesa come quella del braccio dritto. Si levarono le pezze, e sulla parte della mano destra, la quale era già ammortita, si fecero vari tagli, ma non di meno vi giunse la cancrena nelle parti offese. Il paziente si lamentò di sete ardente, ebbe convulsioni terribili, escrementi putridi biliosi, ed un continuo vomito accompagnato da febbre e vaneggiamenti. Egli morì il quarto giorno dopo esser stato in un tramortito sonno. Durante il sonno profondo osservò il medico con sorpresa, che la putrefazione del corpo dava già un odore insoffribile, che i vermi sortendo dal corpo passeggiavano sul letto, e che le ugne cadevano da sé. Essendo

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stato interrogato l’ammalato in che modo quest’accidente fosse accaduto, rispose di aver sentito un colpo sul braccio, come se glie l’avessero dato con una clava, e nell’istesso tempo che avea veduto una scintilla di fuoco sulla camicia, che in un momento fu ridotta in cenere, senza offendere però le maniche anteriori. Il fazzoletto sulla pelle, ed i calzoni erano restati illesi, ma la berretta era bruciata senza però intaccare i capelli. La notte in cui accadde fu tranquilla, l’aria serena, non si osservò la minima traccia di fuoco nella stanza, nessun fumo, ma la lamıpada riempita prima di olio rimase asciutta, e lo stoppino ridotto in cenere.

Il gas infiammabile sviluppasi copiosamente da tutte le piante putride, come dal fieno(1), e dagli animali; le laterine, le cloache ed i sepolcri ne sono pieni, e si accendono spesso da sé quando sono posti in comunicazione coll’aria atmosferica.

La moglie di un droghiere a Parigi gettando nel 1778, addì 10 ottobre, una carta

(1) Voigt physik. Magazin vol. I quint. 3 ediz. 2 p. 26-42.

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accesa dentro il luogo comune, videsi nell’istante circondata dal fuoco. La cuffia, il volto e le mani bruciarono; l’aria si accese sino alla volta, e dopo un sibilo notabile seguì un rumore sotterraneo ed una scossa tale, che le case vicine la sentirono. La chiave di questo locale fu spaccata per tutta la sua lunghezza.

Nel 1757, ai 26 di luglio, dovette un muratore nettare la laterina di una casa privata a Parigi. Aperta la fossa, innalzossi subito una fiamma turchina, ed un vapore denso riempiendo l’apertura, impediva di guardar dentro. Il muratore vi gettò una carta accesa per illuminare l’interno; ma tutt’ad un tratto ne sortì una fiamma violenta sino all’altezza di 18 piedi, durò una mezz’ora, e dopo essersi diminuita riprese, per soli due o tre minuti, nuovo vigore, e si estinse. La fiamma aveva un bel colore turchino, e lo strepito cogionatone assomigliò a quello de’ carboni accesi in una fucina. Tutt’i vicini si spaventarono, e non poterono resistere all’odore penetrante di zolfo. Questo accidente non produsse alcun male, neppure caddero ammalati i lavoranti che però sentirono un calore ardente sul

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petto, il quale eccitò la tosse ed un leggero sputo di sangue.

Il beccamorto di Montmorency (distante 4 miglia da Parigi) facendo una fossa nuova trovò un cadavere a metà putrefatto, in cui sviluppossi l’aria infiammabile con tanta rapidità e veemenza, che inchinandosi egli per porre il cadavere altrove, cadde morto in terra.

Nel 1771 il gas si accese infiammabile in un modo terribile dentro la cantina d’un beccamorto a Breslavia, in cui tenevansi galline e conigli. Il proprietario, portando da mangiare agli animali sentì, aprendo la cantina, ove non era altra apertura che la porta, un vento forte che mosse la fiamma della luce; egli discese però colla sua figlia chiudendo la porta dietro a sé. Quivi si estinse la luce, e nell’istesso tempo comparve lungo il muro una fiamma serpeggiante, che si avvicinò ad essi, empiendo di fumo tutta la cantina. Il padre si abbruciò le mani che teneva davanti il volto, e salvatisi ambidue sentirono un bruciore ai piedi, indi un tuono nella cantina, ove in seguito si trovarono morti i conigli, e quelli che vivevano ancora erano bruciati come se fossero

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passati in mezzo al fuoco. Alle galline si erano bruciate le penne. Il beccamorti e la figha si ammalarono mortalmente.

Questo gas infiammabile, fece fuggire Erode re giudaico, allorquando per rubare nella tomba di Davide, ci discese di notte nei sotterranei chiusi de’ re. Due soldati del suo seguito vi perirono; il re stesso si salvò, ma non senza spavento(1). Lo stesso gas atterrì anche gli Ebrei che, favoriti dall’Imperatore Giuliano, vollero fondare un tempio nuovo, quando, levando l’antico rottame aprirono i sotterranei e le cloache(2). Qualunque aria infiammabile sviluppata per questa via è impurissima, non di meno è una o due volte più leggera dell’atmosferica, per cui s’innalza in essa, conducendo seco il volume ove è rinchiuso, non però più pesante dell’aria atmosferica. Possiamo procurarcela dagli stagni, sopra i quali si pone un fiasco di acqua con un collo largo; rimuginando poi con un bastone la melma sotto il fiasco, alzasi l’aria, e passa nel fiasco

(1) Giuseppe. Antiquit. XVI. 7.

(2) Ammian. Marcell. 23. 8.

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stesso, e così continua l’operazione fino che il fiasco è riempiuto. Il cattivo odore di questo gas deriva dalla quantità delle materie organiche in esso diffuse.

Più puro di ogni altro gas di questa natura è quello tratto da’ metalli, poiché esso è due volte più leggero del gas delle paludi, e cinque volte e mezzo, sino a nove volte più leggero dell’aria atmosferica. Possiamo estrarlo dal ferro, ed in maggior quantità dallo zinco, versando sopra 4 once di zinco o di limatura di ferro, 18 once di acqua e 6 once di olio di vitriuolo. Esso sviluppasi mediante un ebullimento forte accompagnato da un calore sensibile; e più presto che l’operazione si fa, più leggero è il gas. L’aria infiammabile tratta dall’acqua semplice è la più pura, quasi senza odore, e 13 sino a 15 volte più leggera dell’aria comune: per procurarsela è necessario esporre l’acqua ad un forte bollimento, e far passare i vapori di essa per una canna rovente di ferro. Per tal cagione potremmo chiamare quest’aria gas idrogeno; ma abbiamo de’ fondamenti migliori per questa nominazione come vedremo qui appresso.

L’esperienza fa vedere che la canna di

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ferro, passandovi i vapori di acqua, diventa più pesante, ed acquista precisamente quel peso che trovasi mancante sì nel gas come nell’acqua svaporata, in confronto di quella quantità di acqua che serviva per intraprendere l’operazione. Dunque passando i vapori, deve esservi accaduto un discioglimento nella canna, per cui il gas infiammabile si è diviso, mentre un’altra sostanza del vapore fu attratta dal ferro, e incorporata in esso. Esaminando il tubo interno lo troveremo calcinato; ponendovi de’ piccoli pezzi di filo di ferro, osserveremo che questi, durante il passaggio de’ vapori, si sono cangiati in calce di ferro, e divenuti più pesanti.

Ripristinando questa calce di ferro, ricevesi esattamente il primo peso del metallo, benché minore di qualche cosetta, e il peso mancante di aria ritrovasi nel già descritto gas ossigeno.

La ripristinazione delle calci metalliche è generalmente difficile, e quasi impossibile per la sola via del fuoco. Essi, eccetto il mercurio precipitato per sé, ritengono tenacemente l’ossigeno, e si gonfiano nel fuoco violento, senza distaccarsi da quel gas ossigeno, e senza riprendere la prima natura metallica.

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È quindi costretto di unirvi altri corpi, che attraggano più forte ancora l’ossigeno, come vari corpi infiammabili, ed anche l’aria infiammabile stessa. Possiamo dunque per mezzo del gas infiammabile ridurre l’ocrio, il minio, e lo stagno calcinato.

Ripristinando i metalli, scopresi sempre molt’acqua ne’ vasi ben chiusi: ciò non può nascere se alle calci non si unissero il gas infiammabile, o altre materie infiammabili, o che sempre contengono questo gas; quindi la causa del fenomeno dell’acqua deve stare in questo gas infiammabile, per cui è chiamato con molta ragione gas idrogeno.

Quello che decide la cosa è, che bruciando l’aria fissa nella deflogisticata, ricevesi dell’acqua la quale è tanto più pura e priva di colore e di gusto, e simile all’acqua distillata, quanto sono più pure quelle due specie di gas. Lavoisier fu il primo che fece questa importante scoperta; Cavendish la compì, mentre trovò nel 1782, che l’acqua prodottane importava tanto, quanto ambedue le specie di gas prima di bruciarli.

Questi esperimenti richiedono alcuni preparativi

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costosi, sopra tutto molta accuratezza, esercizio e pratica, mentre s’introducono appoco appoco ambedue i gas dentro un vaso voto di aria, e si brucia il gas infiammabile per via di scintille elettriche. In uno degli esperimenti fatti recentemente si sono bruciate 25,582 pollici cubici di aria infiammabile dentro 12,457 pollici cubici di aria deflogisticata. La prima pesava un’oncia, 6 dramme, 31 ed un terzo di grano, l’ultima 6 dramme, e 17 e due terzi d’un grano; insieme 12 oncie, 4 dramme, 49 grani. L’acqua però ricevuta dopo il bruciare importava 12 oncie, 4 dramme, 45 grani, dunque solamente 4 grani di meno; differenza, che in questi esperimenti tanto difficoltosi e delicati, non è di alcun rilievo.

L’aria atmosferica, benché in poca quantità, contiene anche dell’aria fissa propriamente detta, essa ne compone appena un sedicesimo, e secondo altri un centesimo, anzi l’essere di quest’aria è stata messa totalmente in dubbio da Fontana e da La Metherie. Essa chiamasi aria fissa, quasi aria compatta, poiché fu la prima della quale si seppe, ch’era legata in alcuni corpi, o almeno unita esattamente sino al grado di densità,

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e che prende la sua natura fluida, quando è divisa dalla sostanza di que’ corpi coi quali è legata: ma accadendo la stessa cosa con tutte le specie di arie, che in appresso s’impararono a conoscere, così non può essere più distinta col nome di aria fissa, benché lo porti a preferenza; ed i nomi diversi dati a questo gas, come gas mefitico calcare, gas acido carbonico ec., non siano stati capaci a fare dimenticare il primo nome. Si procura questo gas dalla calce mediante il fuoco, e la differenza tra la calce viva e la cruda consiste in ciò, che questa è unita all’aria deflogisticata, e quella n’è privata. Questo gas sviluppasi in tutte le fermentazioni, particolarmente in quelle di vino e di birra. Sopra le caldaie di birra, andando questa in fermentazione, giace ordinariamente uno strato di quest’aria dell’altezza di 9 sino a 12 linee, e talvolta anche di qualche piede. Allora possiamo attingerla col bicchiere, o con un fiasco che abbia un collo un poco largo. Essendo l’aria fissa più grave della comune, e stando secondo Bergmann in confronto all’aria comune come 2 a 3, e secondo altri fisici come 5 a 7;

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così cade sul fondo nell’aria atmosferica, o scaccia questa da’ vasi. Possiamo anche raccoglierne versando dell’acqua, sopra calce cruda, sulla creta, sulle conchiglie calcinate, sul marmo pestato, sulla potassa o sopra altre terre solle alcaline, o sali dolci alcalini, finché ne siano coperti, ed aggiungendovi poi un poco di acqua forte, o dell’olio di vitriuolo, oppure un altro acido, vedremo sortirne il gas come un acido debole, e le materie colle quali era legato vengono abbandonate agli acidi più forti, dal che nasce lo strepito quando si versano i fluidi sopra di esse. Finalmente possiamo anche averne, bruciando un carbone dentro un’aria deflogisticata rinchiusa. Il carbone bruciandolo, è appoco appoco imbevuto dall’aria, la nuova materia che nasce in tal guisa resta forma d’aria, e non si lascia condensare. Quanto di sopra è cassato è meglio toglierlo, poiché è così confuso, che non se ne intenderà mai la minima cosa. Sopra questa operazione fondasi il nome di acido carbonico, e secondo il sistema antiflogistico forniscono le sostanze combustibili solamente del carbone, che si unisce coll’ossigeno dell’aria

(1) Giuseppe. Antiquit. XVI. 7.

(2) Ammian. Marcell. 23. 8.

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deflogisticata, e formano poi col calorico di esso l’aria fissa.

Il peso dell’aria fissa la rende inabile alla respirazione, essa smorza la fiamma, e può essere versata d’un vaso nell’altro come l’acqua. Malgrado di ciò è trasparente e chiara, come qualunque altro gas. Ponendo un lume, un sorcio vivo, un pesce vivo, ed un fiore fresco dentro un vaso trasparente riempiuto di aria atmosferica, e ponendovi al rovescio un altro vaso pieno di aria fissa vedremo subito che la fiamma si smorza, che il sorcio e il pesce muoiono, che il fiore impallidisce, e che le foglie ed i ceppi diventano neri.

Quest’aria dunque, nascendo naturalmente negli antri profondi, nelle miniere(1), nelle volte sotterranee, come il gas ossido col quale ordinariamente si unisce, prudente d’introdurre in questi luoghi un lume prima di entrarvi. Trovandola è difficile di levarla, poiché non s’innalza come l’aria flogisticata. Conviene dunque di

(1) I Canopi la chiamano boese Wetter (temporali).

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gettarvi della calce bruciata non ancora bagnata d’acqua. È stato detto che la calce cruda contiene molt’aria fissa che si estrae bruciandola: la calce bruciata però conserva tanta affinità con quest’aria, che l’imbeve subito, e forma nuovamente una calce cruda. In questo modo non solamente svanisce l’aria fissa, ma pure la calce bruciata distruggendo in breve tempo le sostanze vegetabili ed animali, annienta nell’istesso tempo anche le materie fervescenti e putride, dalle quali sviluppansi i gas mefitici. L’aria fissa si unisce facilmente coll’acqua, particolarmente scuotendola con essa(1), e le dà un gusto acuto, acidetto e piacevole. I pesci non vi possono vivere, e le piante non ne possono essere innaffiate; ma all’uomo è convenevole. Le fonti acidule hanno il gusto e la forza di guarigione dell’aria fissa, e sinché sappiamo prepararle artificialmente, possiamo migliorarle, e renderle più adattate di quanto ha fatto la natura. Anche l’acqua comune de’ pozzi contiene dell’aria

(1) Voigt Magazin fuer das Neueste aus der Physik vol. V. quint. I. p. 104.

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fissa, laonde è abilissima a bersi, e cattiva per lavare i panni. Il vino e la birra devono il frizzante e la freschezza a quest’aria, e perdendola, diventano insipidi; ma sintanto che non hanno perduto lo spirito, possiamo riprodurvi il gusto, e ristabilirli con tutta la forza per mezzo di questo gas.

L’aria fissa è un eccellente rimedio contro la putrescenza, per cui s’impiega vantaggiosamente, e senza mischiarla, nelle febbri putride, nello scorbuto, nelle cancrene, ed in altri mali simili. In essa si conservano i frutti per molto tempo; anche la carne resta freschissima per 10 e più giorni, bastando durante la stagione calda d’immergerla una volta al giorno dentro un’acqua imbevuta di aria fissa.

Non solo il gusto di quest’aria è acidetto, ma essa opera pure come acido. Essa cristallizza gli alcali fissi e mordenti, e forma i sali neutri, che ordinariamente si chiamano sali alcalini solli.

Essa cangia in color rosso la cintura di tornasole; e poche goccie di questo fluido invisibile vi fanno innalzare le bolle di aria, e cangiare il violetto in un rosso cupo. Scuotendo il bicchiere, il rosso diventa sempre

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più vivo. All’aria aperta si divide dall’acqua, e si unisce lentamente a quella, e la tintura di tornasole riacquista il suo colore primitivo.

Versando dell’aria fissa dentro l’acqua di calce, vedremo quest’acqua diventare torbida. Essa si lega colla calce, la separa dall’acqua e la precipita come calce cruda. Versandovi poi tanta aria fissa l’acqua in acido, si discioglierà la calce, e l’acqua diventerà chiara. Siccome si forma una pellicola sull’acqua di calce esposta all’aria, la quale non è altro che calce cruda; e siccome la calce bruciata esposta all’aria libera diventa nuovamente cruda, e l’alcali corrosivo cangiasi in sollo; ed essendo questi effetti prodotti dall’aria fissa; così è fuori di dubbio che l’aria atmosferica ritenga anche una piccola parte di aria fissa.

Molte osservazioni, e molti esperimenti dimostrano, che il gas carbonico, e il gas azoto compongono l’essenza delle materie organiche, dalle quali sono formati gli animali e le piante. Quella parte è la solida e fissa, questa la volatile delle materie organiche.

Tutte le specie di gas, delle quali abbiamo

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nominato solamente le più essenziali possono essere riguardate come corpi composti da una materia fondamentale semplice o nuovamente ricomposta, consistente nel principio detto calorico. Questo principio è la base e la condizione della fluidità. Essendo esso diviso da un corpo fluido, come dall’acqua, allora cessa ogni fluidità, ed il corpo comparisce nella sua natura propria, come nel ghiaccio. Unendosi questo principio con un corpo denso come col metallo, allora lo rende fluido. Le materie aeree appartengono ai corpi fluidi, e quindi devono essere legate con molto calorico, ed avere oltre a ciò le loro materie fondamentali.

In tutti gli animali di sangue caldo scopriamo questa qualità di principio calorico. Il calore del corpo viene dal sangue, il sangue lo riceve da’ polmoni, e questi lo prendono dell’atmosfera. Il calore che sentesi dalla legna che brucia, non passa da questa nell’aria, ma all’opposto dall’aria nella legna. L’aria atmosferica attrae l’infiammabile, e lascia molto calorico.

Vi sono solamente tre diverse materie che per mezzo del calorico si estendono in

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guisa, da cangiarsi in ispecie di gas semplici e perpetui, cioè l’ossigeno, l’idrogeno, e l’azoto.

L’ossigeno è la causa assoluta di tutti gli acidi nella natura. Il fosforo per esempio, bruciato nell’aria deflogistica imbeve l’aria, e si alzano de’ vapori che si attaccano in forma di fiocchi intorno al vaso; questi fiocchi pesano più che il fosforo bruciato, cioè tanto dipiù quanto importava il peso dell’aria. Il restante dell’aria è ancora pura, e basta aver fatto attenzione, per vedere che il vaso è totalmente riempiuto di aria pura. Bruciando del fosforo dell’aria comune, darà una fiamma più debole, più lenta e consuma al più la quinta parte dell’aria atmosferica rinchiusa; il restante è un puro azoto. I fiocchi del fosforo non solamente si sciogliono facilmente nell’acqua, ma pure attraggono rapidamente l’umidità dall’aria, essi si liquefanno, hanno un sapore fortissimo, e cangiansi in una materia particolare e poco fluida, chiamata acido fosforico. 

Nell’istesso modo, ma con maggior difficoltà possiamo bruciare il solfo nell’aria deflogistica. Esso bruciando imbeve l’aria, dà l’acido di vitriuolo.

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Le specie di gas unendosi a diverse materie, perdono in parte o totalmente la loro fluidità; ma senza dividersi da quell’organo che li rese fluidi, sembra piuttosto che il calorico si unisca in un modo nuovo ai gas, e che agisca per mezzo della salsedine, di cui è la causa vera, e che comunica alle materie. Quindi nasce che l’aria deflogisticata unendosi col carbone, e cangiandosi poi in acido carbonico, si ristringe un poco, e diventa specificamente più pesante. Nella produzione di altri acidi, ed anche ne’ più forti, il costringimento de’ gas è ancora più forte; e perdendo essi anche intieramente tutta la loro estensione aerea, non possiamo dire che siano pienamente privi di calorico. La materia fondamentale si dividerà senza dubbio da essi, allora quando l’aria infiammabile brucia nell’aria deflogisticata, e vi nasce l’acqua. Quindi è che l’acqua è priva di acido; ma in tutti gli acidi, il calorico che prima estese l’aria atmosferica, resta legato coll’ossigeno, il quale per sé solo non è la causa degli acidi, ma piuttosto la materia ignea, che si trova con esso legata.

Nell’aria infiammabile si osserva lo stesso

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come nella deflogisticata, essa legasi quasi similmente con certe materie, e forma i sali alcalini. Questi sono disciolti dagli acidi, poiché l’ossigeno attrae moltissimo l’idrogeno.

L’acqua stringe, e s’imbeve più fortemente di quelle specie di gas, in cui ha già incominciato uno stringimento salino. Ma quando i metalli s’imbevono d’aria deflogisticata e la costringono, allora il calorico che prima estese l’aria, non produce de’ sali, ma calcina i metalli.

Probabilmente trovasi nell’acqua il solo gas deflogisticato e l’infiammabile. Ambedue forniscono de’ sali; sembra che l’azoto possa essere affatto separato dal calorico, o per mezzo dell’aria deflogisticata, o per l’infiammabile. Esso costringe ambedue, e forma unito all’aria deflogisticata l’acido nitroso, e coll’infiammabile i sali alcalini volatili: l’azoto resta però spesso unito al calorico che lo ridusse in aria, come fa l’ossigeno cogli acidi(1).

(1) Questo è il vasto sistema di Hube sopra le materie fondamentali, adottato da Kant, il quale, per quanto fu possibile è stato esposto colle stesse parole di Hube.

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