I
L’uomo

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In conseguenza di tale concezione sta l’uomo totalmente isolato fra i mammiferi, e forma una specie particolare. Non possiamo applaudire Linneo quando lo colloca nell’istessa classe delle scimie e de’ bradipodi. Se l’uomo, per l’impulso feroce delle passioni, si dimenticasse anche della sua dignità, e cadesse nella classe dell’animale, nessuna traccia eternizzerebbe la sua vergogna mediante la propagazione. L’uomo si distingue già per l’esteriore. La sua figura dritta e il suo cammino lo dichiarano il signore della terra e il re degli animali. Il Cane, l’orso, il sorcio si rizzano anch’essi,

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camminano anche su due gambe, ma per pochi momenti. Pietro Moscati(1), nella sua opera sulla differenza essenziale fra la struttura corporea dell’uomo e degli animali, sostiene che l’uomo debba camminare sulle sue quattro membra, poichè 1. sopra quattro sia piantato più solidamente che sopra due; ma giudicando dietro i vantaggi della formazione corporea non abbiamo da contemplare un vantaggio solo, ma la somma di tutti. Il piede è formato diversamente dalla mano, e costruito in modo da poter reggere il corpo esso solo: 2. dalla posizione dritta del corpo nascono tutte le malattie come le ernie, mentre il cuore si abbassa sul diaframma, e sugli intestini, comprimendoli in luoghi impropri; ma pure troviamo delle ernie, ne’ quadrupedi, e spesso negli animali a corna, nella puzzola ec. : 3. hanno origine i parti difficili; ma questi erano meno frequenti per lo passato e hanno la loro origine nelle debolezze fisiche dell’uomo; e d’altronde sono ordinariamente cagionati da una debole costruzione delle ossa, e da un bacino ristretto.

(1) È ben noto che quest’opera fu composta dal rispettabile autore per solo divertimento e non per far convenire i suoi concittadini delle proposizioni in essa esposte.

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L’autore deduce ingiustamente da questa posizione dritta anche l’apoplessia, le vertigini, la rabbia e varie altre malattie di capo. Anche i cavalli ed i cani muoiono spesso di apoplessia. Il cane soffre spesso le vertigini; il cane e il gatto spesso diventano arrabbiati. Le nazioni che pensano poco soffrono anche poco le vertigini. Le malattie di petto, l’idropisia e le infiammazioni di petto, come vuole Moscati, non possono neppure derivare dalla posizione del cuore, che, secondo lui, essendo posto in situazione falsa quando l’uomo sta dritto impedisce la circolazione del sangue, estende troppo l’arteria e cagiona apoplessie e gonfiature che, scoppiando, cagionano la morte. Anche i cavalli sono spesso bolsi e muoiono per troppo frequente infiammazione di polmoni. Moscati opina ancora che l’uomo si affatichi troppo andando dritto; ma della falsità di simile proposizione ci convince la struttura del piede fornito di ossa e muscoli fortissimi. Siccome Moscati è anatomista, è da supporsi che sia stato guidato o dall’amore per la novità, o che abbia trovato insufficienti le dimostrazioni per l’andamento dritto dell’uomo, cioè la grandezza del forame magno, il collocamento

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de’ capelli, la proporzione delle mani in confronto ai piedi, i capezzoli ec. Dobbiamo quindi stabilire altre ragioni per dimostrarlo, cioè; 1. Il cuore nell’embrione umano è situato più anteriormente in confronto di quello degli animali, il quale sia più in dietro. La posizione delle parti rinchiuse nel petto, varia generalmente negli animali secondo il loro cammino. 2. Il processus adonteus, sul quale riposa il capo, è dritto nell’uomo e curvo negli animali, e molti particolarmente fra gli uccelli non l’hanno affatto. 3. Il collo dell’osso della coscia è negli animali corto e dritto, e la testa giace subito nell’acetabolo; nell’uomo però è il collo più lungo e curvo; per cui il punto di gravità cade più in dietro frammezzo alle gambe. 4. Le ossa del bacino sono larghe e grandi, negli animali, però lunghette e strette, e nelle scimmie a forma di cucchiaio. 5. La formazione del piede, ove le ossa sono più grandi; esse sono poste in due ranghi, di cui il posteriore è assai più lungo. Nella mano si trovano tre ranghi che concorrono tutti nella radice di essa. L’orso, in quanto al piede, ha la maggior assomiglianza coll’uomo. La formazione

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delle ossa del piede succede più presto che nella mano; esse crescono ne’ due primi anni più velocemente che nella mano. 6. Le vertebre dell’uomo diminuiscono dall’alto in basso, e quelle degli animali sono quasi tutte eguali. 7. All’uomo manca il settimo muscolo dell’occhio, musculus suspensorius oculi, proprio a tutti gli animali quadrupedi. 8. I muscoli del piede e della mano sono collocati affatto diversamente che nelle quattro estremità degli animali. I muscoli delle articolazioni del ginocchio sono più lunghi negli uomini che negli animali, ed anche nelle scimmie, per cui le estremità degli animali sembrano un poco schiacciate. Du Clos ha paragonato particolarmente i muscoli del cane con quelli dell’uomo, e molto tempo prima di lui aveva dimostrato lo stesso anche l’antico Borello nella sua opera che tratta del movimento degli animali(1). 9. II legamento della nuca è corto e forte nell’uomo, e passa subito dalle vertebre del collo ai processi delle vertebre del dorso. Negli animali

(1) È ben noto che quest’opera fu composta dal rispettabile autore per solo divertimento e non per far convenire i suoi concittadini delle proposizioni in essa esposte.

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incomincia dalle vertebre del dorso, è più largo e più grande, passa sopra tutte le vertebre del collo, e termina altamente sulla testa. 10. La posizione delle orecchie è visibilmente diversa negli uomini, che negli animali. 11. La collocazione del cervello, particolarmente del piccolo, che negli animali è separato e posto in dietro, è situato negli uomini sotto il cervello grande. Moscati accenna ancora gli uomini selvaggi i quali camminavano colle mani e co’ piedi; ma questo non fecero tutti. Alcuni di questi esseri camminavano sulle gambe, altri sopra le mani ed i piedi, ma con poca sveltezza, e forse perché lo videro dagli altri animali che li circondavano. Del resto questi infelici sono da considerarsi nella storia naturale, come gli uomini ammalati nella fisiologia.

L’uomo solo ha due mani e due piedi; tutti gli animali hanno o quattro mani o quattro piedi. Molte specie di scimmie hanno quattro mani, come il gibbon, ed anche il machi, il didelfo, ec.; essi. non camminano, ma si arrampicano, per cui l’orangutang si trattiene solamente sopra gli alberi e volendo camminare si serve di un bastone. Nell’uomo è grande la differenza in ambedue le estremità.

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Il polso è più piccolo, e consiste in otto ossa. II tarso però è maggiore, e ne ha sette. Le ossa della mano sono distanti l’une dall’altre, e quelle del piede sono vicine. Il primo dito della mano è distaccato, e quello del piede è vicino all’altro. La sensazione fina nelle punte delle dita, particolarmente notabile negli Indiani orientali, le rende abilissime al servizio dello spirito umano; e mentre eseguiscono i problemi dell’intelletto, cagionano nuove invenzioni, promuovono la coltura ec.

L’uomo si distingue inoltre pel mento prominente, e per la posizione retta de’ denti incisori.

L’uomo è affatto nudo e disarmato, non ha pelle pelosa, non separa alcun veleno, non ha forza e celerità particolare, e la sua bocca è particolarmente piccola.

L’uomo solo ride e piange. Anche gli altri animali hanno caruncole lagrimali, ma propriamente non piangono, poiché non possono servirsi de’ muscoli per comprimerli. Il ridere, il piangere suppongono forze superiori dello spirito.

La femmina ha inoltre due precisi segni distintivi, cioè l’imeneo e le purghe mensili.

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L’imeneo è una membrana forte, semilunare o circolare, collocata dinanzi alla vagina di cui s’ignora lo scopo fisico; sembra dunque che vi abbia luogo un qualche fine morale. La mancanza o la distruzione di questo imeneo, è un segno fisico della lesa integrità verginale. Buffon volle attribuire la purga mensile anche alle scimmie; ma la perdita di sangue che talvolta soffrono non è mensile. La perdita del sangue si osserva anche negli altri animali, ed è da paragonarsi a quella che hanno anche le donne, separatamente dalla purga mensile. Nel nostro clima incomincia questa perdita nel quindicesimo anno e dura sino al cinquantesimo. Quasi tutte le malattie delle donne traggono l’origine dall’irregolarità di questa perdita periodica, e molte periscono al principiare ed al terminare di essa. La donna senza purghe non può concepire; ed essendo esse irregolari è difficile la concezione.

Le varietà era l’uomo e l’animale, riconosciute mediante l’anatomia, sono più piccole e meno significanti. Nell’orangutang, e in tutte le specie di scimmie, com’anche nel cavallo, nella pecora, nel coniglio, nella lepre, crescono insieme i due lobi del cervello. Il ponte

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di faraone nell’uomo è separato dall’altro cervello, e nelle specie delle scimmie, e quasi in tutti gli animali quadrupedi, è unito di modo, che si osserva solamente una piccolissima differenza. Il braccio dell’uomo è assai diverso da quello degli altri animali, particolarmente riguardo alla posizione e la conformazione delle ossa, l’apertura di forami ec. All’uomo manca l’osso intermascellare, che può essere riguardato come un segno esclusivo degli animali; esso si trova negli uccelli, negli anfibi, e ne’ pesci, come ne’ mammiferi. In quello de’ mammiferi sono collocati i quattro denti incisori superiori. Quest’osso non è sempre serrato fra le mascelle propriamente dette, ma pure è collocato in alcuni animali dinanzi alla mascella; e siccome forma sempre una parte del naso, potremo chiamarlo con Fischer, il quale lo osservò in 150 manımiferi, e lo descrisse benissimo, os nasi maxillare(1). La scimmia ha solamente un os nasi triquedum. Gli altri animali

(1) Ueber die verschiedene form des Intermaxillarknochen in verschiedenen Thieren di G. Fischer, Lips. 1800.

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hanno spesso due ossa nasali, come l’uomo, ma sono più lunghe che quelle dell’uomo. Molti animali hanno più di 12 coste, e più vertebre che l’uomo, e particolarmente è da notarsi in essi la prolungazione dell’osso sacro  in coccige. Le membra degli animali veloci, dell’elefante, del cavallo sono divise diversamente; esse consistono per lo più in quattro ossa diverse, collocate l’uno sopra l’altro, come particolarmente è noto da’ cavalli, ove le radici del piede stanno in alto. Il braccio superiore e la gamba superiore dell’uomo hanno un osso solo, gl’inferiori due. La membrana nictitans trovasi nella maggior parte degli animali quadrupedi, nell’orso, nel cavallo ec., ed in molti uccelli, come nella civetta ec. Pochi animali quadrupedi hanno palpebre; fra gli uccelli però potrebbe essere attribuita alla civetta. La lingua dell’uomo è carnosa, larga e molle; quella degli animali è stretta, ruvida, dura e più elevata: alcune sono munite di pungoletti, come le specie de’ gatti; altre sono più rotonde. Una specie numerosa di animali, come la pecora, il cane, il cavallo ec. ha il fegato diviso in gran lobi;

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l’uomo però vi ha una impressione appena sensibile.

Quanto non è diverso lo stomaco degli animali ruminanti, della pecora, del cammello del bue ec. da quello dell’uomo! Anche lo stomaco della lepre ha varie divisioni. Lo stomaco del cane, del lione, del leopardo, del gatto e di altri animali, ha molta assomiglianza con quello dell’uomo. La matrice della donna è semplice, ed inauditi sono gli esempi che vi sia doppia. I cani, i gatti, la faina e quasi tutti gli altri animali l’hanno doppia, poiché dovevano generare più di un figlio della loro specie.

In quanto poi alle capacità interne dell’uomo, o del principio che anima il suo corpo, scopresi particolarmente una differenza specifica fra lui e il mondo animale.

Oltre l’impulso di poppare, e quello di procreare il suo simile, l’uomo non ha alcuno istinto, nessuna propensione per l’arte, ma possiede esclusivamente la ragione, e l’applicazione riflessiva e regolare delle sue forze, la conoscenza chiara di se stesso, e la favella da lui stesso inventata.

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Nell’ordine della natura si ritiene per massima, che tutti gli uomini appartengono ad una sola specie, mentre generano fra di loro figli fecondi. Di questa unità della specie naturale, cioè dell’unità della forza generativa, alla quale è generalmente sottoposta questa specie, possiamo dedurne una sola cagione naturale, cioè che gli uomini appartengono ad una stirpe, donde nacquero tutti, malgrado della varietà che osserviamo intorno ad essi, o almeno hanno dovuto nascere dalla medesima.

Nel primo caso appartengono gli uomini non solo ad una e medesima specie, ma pure ad una sola famiglia. Nel secondo devono assomigliarsi senza esser parenti, e formare una specie nominale, ma non reale.

Una specie animale, di una stirpe comune, non contiene diversi generi, mentre intendiamo con ciò precisamente la varietà della discendenza; ma generi variati o variamenti dal genere, quando però sono ereditari; ed i contrassegni ereditari della discendenza, corrispondendo essi alla stirpe, c’insegnano i generi imitativi; i variamenti poi de’ generi che non possono più riprodurne

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la stirpe primitiva, si chiamano degenerazioni

Fra i generi variati, o le diversità nate per eredità, degli animali appartenenti ad una stirpe sola, osserveremo certamente non solo i perpetui segni ereditari di essi, i quali compariscono malgrado d’ogni traslocazione del genere in altri paesi; ma pure riconosceremo questi segni, nel caso che l’animale si fosse accoppiato con un altro di quel suolo ove fa posto esso medesimo. Da ciò nascerà discendenza di figli, miglierà a l’uno e all’altro de’ genitori, e formerà una razza. L’animale che malgrado d’ogni propagazione del variamento dal genere, conserva sempre il carattere, senza però cangiarsi nell’accoppiamento con altro, e produrre forme nuove, appartiene al genere variabile; e quello che cangia spesso la forma distintiva del genere, ma non sempre, e non con sicurezza, appartiene alla classe varietà. Il variamento del genere al contrario, che riproduce figli con altri variamenti del genere, e che a poco a poco estingue i segni caratteristici, si chiama specie particolare

In tal guisa i negri ed i bianchi non

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sono uomini di diverso genere, mentre appartengono probabilmente ad una stirpe comune; ma di due diverse razze, poiché ciascuna conserva il suo carattere in tutte le zone, ed ambedue generano figli mulatti. I Mori (mauritani) al contrario, abbronziti nella patria dal sole e dall’aria, i quali si distinguono assai dallo Svedese e dal Tedesco pel colore della pelle; ed i Creoli Francesi o Inglesi nelle Indie occidentali, i quali hanno s’aspetto pallido ed estenuato, come ammalati, non sono razze, né appartengono neppure al genere variabile o alle varietà, mentre il Moro educato nell’abitazione, e il Creolo nell’Europa, non si distinguono dagli abitanti della nostra zona. I biondi ed i bruni fra noi sono molto più diversi, e ci presentano vari generi variati, mentre un uomo biondo accompagnato da una donna bruna può avere tutt’i figli biondi, ed inoltre si conserva per molte generazioni ciascuno di questi variamenti dal genere. 

La qualità del suolo (umidità o siccità), e la diversità del nutrimento cagionano a poco a poco una differenza ereditaria fra gli animali della medesima stirpe e razza, particolarmente, riguardo alla

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grandezza, ed alla proporzione delle membra; ed è anche naturale che, accoppiandosi gli animali di diverso clima, propagasi coi segni caratteristici tanto dall’uno quanto dall’altro, e vanno perdendosi in poche generazioni, quando queste sono trasportate sopra un altro suolo dell’istesso clima, o quando ricevono diverso nutrimento. È dilettevole di osservare le costruzioni particolari degli uomini, secondo la diversità di queste cagioni, mentre in uno e medesimo paese si distinguono gli uomini secondo le provincie. I Beozi, per esempio, abitando sopra un suolo umido, si distinsero dagli Ateniesi che godevano un suolo secco; ma questa diversità è rimarcata soltanto dall’occhio osservatore, ed è messa in derisione da altri. Ciò che appartiene unicamente alle varietà, e che per se stesso è ereditario, ma non perpetuo, può non di meno produrre in seguito quello che chiamiamo caratteristico di famiglia, mentre si accoppia strettamente colla forza generativa, e diventa perpetuo, come si osserva nell’antica nobiltà di Venezia, e particolarmente nelle donne di essa.

Non conosciamo con sicurezza altre differenze che siano necessariamente ereditarie,

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e che stabiliscano una razza, fuori di quelle conosciute pel colore della pelle, cioè de’ bianchi, degl’Indiani gialli, de’ negri, e degli Americani rossi come il rame.

Fra di noi si trovano molte proprietà ereditarie, e secondo l’apparenza, anche rilevanti; per cui le famiglie, ed anche popoli intieri, si distinguono tra loro; ma nessuna di queste proprietà è inevitabilmente ereditaria, poiché quelli che le hanno, generano anche figliuoli, ai quali manca una tale proprietà distintiva. Nella Danimarca domina il colore principale di pelle bionda, nella Spagna il bruno, e nell’interno dell’Asia, particolarmente nella China, si uniscono anche gli occhi ed il colore de’ capelli per fare riconoscere maggiormente la proprietà. Quest’ultimo colore può anche essere ereditario, senza eccezione in un popolo separato, come fra i Senesi, ai quali gli occhi turchini sembrano ridicoli, poiché fra loro non v’è alcun biondo, onde cagionare un cangiamento nella generazione. Unendosi questi brunetti coi biondi, nascono dei figli ora biondi ed ora bruni, secondo che assomigliano più all’uno o all’altro de’ loro genitori. In alcune famiglie sono ereditarie l’etisia, i storcimenti di corpo, la pazzia ec.; ma nessuno di

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questi mali è in tal caso inevitabile; troviamo esempi che donne tisiche generano figli sani, e tisici con uomini sani, e così viceversa; che un uomo sano, essendo sposato con una donna, nella di cui famiglia è ereditaria la pazzia, possa anche esso fra gli figli sapi averne de’ pazzi. In questo caso scopriamo il genere imitativo. I Negri, gl’Indiani, gli Americani hanno anch’essi le loro varietà provinciali e famigliari; così troviamo fra i Negri degli Albinos, e de’ Negri macchiati di bianco, ma nessuna delle loro proprietà, unendosi essi in matrimonio con altri dell’istessa razza, si propagherà inevitabilmente. Null’altro dunque che il colore determina le quattro razze degli uomini.

Il colore conviene tanto più a determinare una divisione delle classi mentre ciascuna razza è per così dire isolata dall’altra, e riunita fra se stessa, cioè la classe de’ bianchi dal Capo Finisterra al Capo Nord, al fiume Obi nella piccola Bucaria, nella Persia, nell’Arabia Felice, nell’Abissinia, al confine settentrionale del deserto di Sara, sino al promontorio bianco nell’Africa o all’imboccatura del Senegal. La classe de’ Negri dall’imboccatura del Senegal sino al Capo Negro, ed, eccettuando

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i Cafri, sino all’Abissinia. La classe de’ giallastri nell’Indostan propriamente detto sino al Capo Comorino; un’altra classe secondaria abita sull’altra penisola delle Indie e sulle isole vicine. La classe de’ rossi di rame in una parte isolata del mondo, cioè in America.

La seconda ragione perché convenga questa divisione, la troviamo prima nella traspirazione del corpo, onde resistono gli uomini in ogni clima; e in secondo, nella costruzione della pelle, che indica la varietà del carattere naturale. Siamo quindi autorizzati a dividere gli uomini in tante classi visibilmente diverse.

Le cagioni di uno sviluppo determinato, poste nella natura di un corpo organico, quando riguardano alcune parti speziali di esse, si chiamano germi; ma riferendosi esso solamente alla grandezza delle parti o alla relazione di esse fra di loro, si chiamano disposizioni naturali. Negli uccelli dell’istesso genere, i quali devono venire in diversi climi, sono deposti de’ germi per un nuovo ordine di penne, caso che vivano in un clima freddo. Quest’ordine però è ritenuto quando vivono in un clima moderato. Nel

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grano di frumento, che nel paese freddo deve essere riparato più contro il freddo umido, trovasi la disposizione di produrre a poco a poco una pelle più grossa. Questa provvidenza della natura di munire le sue creature mediante varie precauzioni nascoste, acciocché si conservino e si adattino alla diversità del clima, è ammirabile. Né il caso, né leggi generali meccaniche possono combinare un simile accordo; quindi abbiamo da riguardare tali sviluppi come provvisoriamente organizzati dalla natura. L’uomo era destinato da vivere in ogni clima, e sopra ogni qualità di suolo; in lui dunque devono essere deposti vari germi, ed esservi delle disposizioni che nell’occasione si sviluppano, acciocché il suo corpo sia adattato al luogo ove abita, e che, propagandosi la sua prole sia costruita secondo il suolo ove abita.

I Negri della vera razza abitano sopra strisce di terra, ove l’aria è carica di azoto per motivo delle selve folte, e delle regioni paludose piene di vegetabili, di modo che passandovi, secondo Flint, i marinari Inglesi, anche in una giornata che passano sul Gambia, rischiano di perire. Era quindi una misura saggissima

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della natura di organizzare la pelle de’ Negri in guisa, che il sangue, il quale non iscarica bastantemente l’azoto per mezzo de’ polmoni, lo separi anche  attraverso alla pelle, e con maggior facilità  di quanto accade col corpo nostro. Il sangue doveva in conseguenza condurre molto azoto nelle estremità delle arterie, che giacciono immediatamente sotto la pelle, e diventarvi nero, benché fosse anche internamente rossissimo. Poiché sappiamo che il sangue diventa nero quando è sopraccaricato di azoto, come dimostrasi alla parte inferiore dello sputo di sangue. Anche il cattivo odore de’ Negri, il quale, malgrado d’una massima polizia, non può togliersi, fa sospettare che il loro sangue separi molto azoto dal corpo. La diversa organizzazione della pelle de’ negri è inoltre distinguibile dalla nostra, mediante il tatto. La loro pelle deve ancora essere oleosa, tanto per moderare le traspirazioni frequenti, quanto per impedire la penetrazione delle umidità putride dell’aria esterna. L’olio della pelle che indebolisce la flemma nutritiva, pel crescimento de’ capelli, produce sul loro capo appena una specie di lana.

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La crescenza delle parti molli del corpo deve aumentarsi in un clima caldo e umido, e quindi osserviamo un naso grosso troncato, e labbra prominenti. In questo calore umido nasce il negro, il quale, perfettamente corrispondente al suo clima, è carnoso ed agile; ma malgrado dei doni della loro madre patria, è pigro, effemminato e da poco. 

Lo scopo dell’organizzazione delle altre razze, per quanto possiamo giudicare dal colore, non può essere dimostrato con altrettanta verosimiglianza; non siamo però totalmente privi di spiegazioni del colore della pelle, da potere sostenere le concezioni che ne abbiamo formato. Se ha ragione l’abate Fontana, sostenendo che il gas acido carbonico, sortito da’ polmoni, non si precipiti dall’aria atmosferica, ma sorga dal sangue stesso; potrebbe darsi che vi fosse una razza di uomini che abbia il sangue sopraccaricato di questo gas; i polmoni soli non potrebbero dunque intieramente separarlo, onde concorrono a tale operazione anche i vasi della pelle, per allontanare questo gas insieme ad altri vapori traspiranti. Se ciò fosse, il gas produrrebbe il colore

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rugginoso nelle parti ferree del sangue, come l’osserviamo negli Americani, e il genere imitativo di questa qualità di pelle può derivare da’ primi abitatori provenienti dalle coste del nord est dell’Asia, e forse da quelli delle coste del mare glaciale. Gelando continuamente l’acqua di questi mari, deve anche tramandare continuamente del gis acido carbonico, di cui l’atmosfera sarà quivi sopraccaricata più che altrove, per cui la natura benefica ha fatto una organizzazione tale che succeda la separazione per mezzo della pelle: ed in fatti si osserva poca sensibilità nella pelle degli Americani nativi. Ciò potrebbe essere una conseguenza di quella organizzazione che, essendosi sviluppata in modo da formarne una distinzione di razze si conserva anche nel clima più caldo, ove si trovano molte occasioni per esercitare quell’istessa operazione; poiché tutti i nutrimenti contengono una quantità di azoto accolto dal sangue, che si tramanda per mezzo della pelle. La natura deve separare dal sangue anche l’alcali volatile, per cui ha costituito una organizzazione particolare di pelle, per quelli che formano una stirpe in una regione calda o umida, la quale rese

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particolarmente abile il loro sangue a produrlo abbondantemente. Il tatto sensibile nelle punta delle dita degl’Indiani, e le loro mani fredde, durante il massimo sudore o calore, come osserviamo anche ne’ mulatti di questa razza, dimostrano apertamente una organizzazione affatto diversa dalla nostra.

Comunque siasi, è certo che le razze presentemente sussistenti, impedendo ogni amalgamazione di esse, non possono più estinguersi. Di ciò abbiamo una prova evidente ne’ Zingari fra noi domiciliati, i quali è evidente che derivano da una stirpe Indiana; (e riguardo alla loro venuta in Europa, possiamo inoltrare le nostre ricerche sino a 300 anni avanti) non di meno non sono punto degenerati, ed hanno ancora la figura de’ loro antenati. I Portoghesi che durante 200 anni devono avere degenerato sul Gambia, sono sicuramente mulatti, cioè ramificazioni di Negri e Bianchi. Sappiamo d’altronde che, per esempio, sotto il re Giovanni II di Portogallo (dal 1481 al 1495) morirono i coloni sopra s. Tomaso, i quali furono rimpiazzati da’ figli battezzati degli ebrei; inoltre non si avrà avuto tanto scrupolo di unirsi allora con donne negre.

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I Creoli nell’America settentrionale, e gli Olandesi sopra Java, restano fedeli alla loro razza. La tinta onde è colorita la loro pelle, la quale però cangiasi mediante un’aria più fresca, non deve essere confusa col colore proprio della razza, poiché essa non si propaga mai nella generazione. Tutti i germi dunque posti nella stirpe delle specie umane per produrre le razze, devono essersi sviluppati già ne’ tempi rimotissimi, e secondo il clima, quando quella specie vi dimorava per molta tempo; ed essendosi sciolta una di queste disposizioni in un popolo, estinse totalmente tutte le altre specie. Quindi non possiamo adottare, che una mescolanza di diverse razze, che procedette con certa gradazione, possa riprodurre nuovamente la figura della stirpe umana; altrimenti propagherebbero il loro colore originario anche quelle, che nascono da due razze diverse, e che vivono poi in diversi climi; cosa che si oppone ad ogni esperienza. Da ciò possiamo facilmente indovinare il colore della prima stirpe umana; lo stesso carattere de’ bianchi è solamente uno sviluppo della disposizione primitiva; contenuto nella stirpe.

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Questa stirpe primitiva è probabilmente estinta, ma forse sarà stata bianca di colore brunastro.

La striscia di terra del mondo antico dal 30° al 35° di latitudine settentrionale, ove si trova la più felice influenza delle regioni calde e fredde, e la maggior abbondanza di animali, ed ove l’uomo sembra meno degenerato dalla sua prima figura, poiché è preparato ed allo a propagarsi in ogni parte della terra, è abitata da’ popoli bianchi di colore molto bruno. Da questi sembrano discendere i popoli verso il nord, che hanno i capelli rossicci, la pelle tenera e bianca, e l’occhio ceruleo. Essi ai tempi dei romani abitavano la regione settentrionale della Germania, e secondo altre relazioni, più verso l’est, sino alle montagne Altai ed occupavano selve immense in una zona bastantemente fredda. L’influenza di un’aria fredda ed umida, la quale rende gli umori inclinati allo scorbuto, ha prodotto finalmente una specie d’uomini, la colonia de’ quali giunta nel clima freddo e secco dell’America, si distinse per un’altra formazione; potremmo quindi formarci la seguente tavola.

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Stirpe principali

Bianchi di color bruno. 

1a Razza. Europei settentrionali biondissimi, nel freddo umido. 

2a Razza. Americani del colore di rame, di freddo secco. 

3a Razza. Negri sul Senegambia, nel calore umido. 

4a Razza. Indiani olivastri, nel calore secco.

Ciò che nella varietà delle razze cagiona la maggior difficoltà è, che le medesime strisce di terra e di clima non contengono la stessa razza; che nell’America più calda non si produce una razza indiana; e meno ancora de’ Negri; che nella Persia o nell’Arabia non nascono uomini di colore olivastro come gl’Indiani, malgrado che queste terre corrispondano molto al clima e alla qualità dell’aria di quello, ec. La prima difficoltà si spiega per mezzo della popolazione di quel clima; poiché essendovisi, mediante il lungo soggiorno d’una stirpe primitiva del nord est dell’Asia e della vicina America, formata una razza come la presente, non poteva più trasformarsi in un’altra mediante l’influenza del clima, poiché

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la sola stirpe primitiva può degenerare e produrre varie razze. Questa però, avendo preso radice, ed essendosi estinto ogni altro germe, resiste a qualunque trasmutazione, mentre il carattere della razza è diventato dominante nella forza generativa.

Per quello però che riguarda la località della razza principale de’ Negri del Senegal (anche sulla nuova Guinea, nuova Olanda, nuova Caledonia, sulle isole Carlotte, e sulle Ebridi, benché si creda che non sia propria alle ultime, ma giunta vi sia sino da’ tempi rimotissimi); come pure la località della razza Indiana racchiusa nelle Indie sino all’est, ove sembra essere degenerata; dobbiamo credere che ne’ tempi rimoti vi sussistette un mare interno cbe separò l’Indostan, e l’Africa da altre terre vicine; poiché la striscia di terra che dal confine della Dauria passa sopra la Mongalia, la piccola Bucaria, la Persia, l’Arabia, la Nubia, il Deserto di Sahara sino al Capo-Bianco, assomiglia in gran parte all’antico suolo di mare. Da ciò apparisce come il carattere Indiano non abbia nella Persia e nell’Arabia, poiché questi paesi erano probabilmente un fondo di mare, quando

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l’Indostan era già popolato da molto tempo. Lo stesso mare divise anche la razza negra, e l’Indiana da quella del nord, per cui non si mischiarono, e ciascuna conservò il suo carattere particolare.

Ciò che favorisce ancora la classificazione delle quattro razze è, che unite ai quattro colori si osservano anche grandi varietà interne sull’abito totale, per cui i colori possono unicamente essere riguardati come segni di una diversa organizzazione.

Il negro in luogo di capelli ha una lana nera e ricciuta; ha il naso ottuso, le labbra grosse, la mascella inferiore più lunga della superiore, un occipite simile a quello delle scimie, un corpo inferiore forte, ed è generalmente più somigliante alla specie delle scimie che il bianco. L’aspetto stesso ci fornisce in certo modo questo risultato, e l’eccellente Soemmering(1) l’ha dimostrato con fondamenti anatomici e fisiologici. Non dobbiamo però supporre, come

(1)  Qui nil molitur ineptae, nella sua opera sulla diversità corporale fra il negro e l’europeo. Francof. e Lips. 1785.

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Frabrizio, che una qualche scimia abbia avuto parte nella formazione del negro, tanto più che i negri riguardo all’ilarità, al buon umore, ed altre facoltà spirituali non cedono molto all’Europeo. Essi sono forti di corpo e capaci di ogni applicazione, ma naturalmente la ricusano. 

L’Americano ha il capello liscio, nero la faccia larga, ma non piatta, lineamenti marcati, ed è incapace di qualunque applicazione spirituale e corporale(1).

La razza giallastra ha pochi capelli neri e tesi, le palpebre poco tagliate, la faccia piatta, l’osso zigomatico prominente, le mani fredde, le coscie lunghe ec.(2); e le loro malattie più comuni sono, secondo Jues, ostruzioni e gonfiature di fegato.

Del resto non è molto considerabile la differenza nella costruzione corporale. Anche i fanciulli nascono quasi da per tutto

(1)   Geog. fis. vol. 3.

(2) Blumenbach de generis humani varietate nativa ediz. 3 e 4. Abbildung natur. histor. Gegenstaende. quint. I, tab. 1, 5.

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colore rosso, ed anche il fanciullo negro appena nato, differisce da quello dell’Europeo pel solo anello nero intorno all’umbilico, ma dopo alcuni giorni però diventa nero come i suoi parenti(1).

Parlando solamente di quattro razze, non vogliamo sostenere, che non possano sussisterne ancora altre; ma esse non si sono finora caratterizzate a sufficienza, e ci sono sconosciuti i mulatti che ne possono nascere.

Volendo riguardare i Mongoli come una razza diversa dall’Indiana, dobbiamo osservare, come dice Pallas nella sua descrizione de’ popoli Mongoli, che la prima generazione da un Russo, e da una donna Mongola (Burata) produce figli bellissimi. Pallas però non ci dice, se questi figli abbiano qualche somiglianza all’origine Calmucca. Sarebbe sicuramente una circostanza notabile, se mediante l’unione de’ Mongoli cogli Europei, i segni caratteristici de’ primi si estinguessero interamente, mentre, unendosi gli Europei coi Chinesi, Avani, Malesi ed Indiani,

(1)  Buffon hist. naturelle. Paris 1750. 4. tom. III, pag. 122.

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sono più o meno sensibili. La proprietà de’ Mongoli però si riferisce particolarmente alla figura, non al colore; di questa sola l’esperienza c’insegna sinora una propagazione inevitabile.

Non possiamo decidere neppure con sicurezza, se la figura de’ Caffri, osservata ne’ Papuas, ed altri abitanti delle isole del grand’Oceano, indichi una razza particolare, mentre non conosciamo ancora le generazioni fra essi: frattanto si distinguono assai da’ Negri per la loro barba folta, benché ricciuta.

I Jakuti, i Kuraeti, gli Eskimo, ed altri simili popoli polari, hanno degenerato sensibilmente dagli altri, ma, come apparisce, non sono necessariamente ereditarie tutte le loro proprietà.

I Patagoni(1), de’ quali i più grandi non oltrepassano sei piedi e mezzo, non formano neppure una razza particolare gigantesca, mentre è molto probabile, che per motivo della loro vita miserabile, periscano i più deboli,

(1)   Vedi Geograf. fis. vol. III.

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ed in parte vengano da’ medesimi uccisi in guerra.

Nemmeno formano una razza i pretesi Quimos sopra Madagascar, come pretende Kommerson. Essi sono persone ammalaticce, una specie di scimuniti, di figura piccola con teste grosse, braccia lunghe, come se ne trovano nel Salisburghese, nella Svizzera(1), e particolarmente nel Vallese, ne’ Pirenei, e frequentemente nel Piemonte. Essi appartengono piuttosto alla patologia, che alla storia naturale. Possiamo collocare nell’istessa rubrica anche i negri bianchi, ed i sorci bianchi(2) che temono la luce, per cui chiudono gli occhi e sembrano esser ciechi. Gli scoiattoli, i criceti, i conigli e le talpe di pelo bianco ec., tutti hanno gli occhi rossi, e sono albinos nella loro specie, come parimenti la donnola bianca e giallognola con occhi rossi. Gli albinos si trovano frequentemente in Biafara nell’Africa, poco distante da Benin, ove si chiamano anche Dondos e Blafards: nelle

(1)  Ibid. vol. IV.

(2)  Ved. Viaggi di Storr nelle Alpi, tom. 1, introduzione.

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Indie però si nominano Kakerlachi per rapporto all’odore, simile ad una specie di scarafaggio dell’istesso nome. Essi hanno il colore de’ cadaveri, ed, in luogo di capelli, una specie di lana bianca sulla testa: quelli nelle Indie sono un poco più rossi di faccia e di capelli; tutti però hanno gli occhi rossi, cui manca l’umor nero che copre la tunica coroidea. Questa tunica riflette la luce, per cui gli albinos possono vedere poco o niente di giorno, ma piuttosto al chiarore della luna ed in tempo de’ crepuscoli. Nelle Indie servono di pompa, mentre i signori li prendono al loro servizio come noi i Negri. Ne vediamo anche fra i Negri dell’America, e particolarmente a Panama.

Sotto l’istesso aspetto abbiamo da considerare i fanciulli trovati ne’ deserti, e frammezzo agli animali feroci; e i mostri, ed altre creature patite per malattie, le quali non possiamo classificare sotto una specie particolare(1).

(1) Troviamo molte notizie in proposito nelle diss. de statu animae hominis inter feras adolescentis. Argentorati 1757, 4 fogl. 4., Keich der natur und Setten.

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È inutile di schiarire tutte le favole con cui gli uomini hanno sfigurata la storia della loro propria specie; ma non di meno dobbiamo notare, che non si è verificata la privazione della barba degli Americani; e quando non la troviamo, possiamo essere persuasi che i peli furono strappati. Così non avremo neppure bisogno di prevenire contro i falsi racconti di uomini colla coda, e delle ottentotte col grembiale naturale davanti le parti genitali.

Le cose artifiziose fatte dagli uomini intorno al loro corpo, come la circoncisione ec.; dimostrano che la natura non si lascia mai

tom. 1. quint. 21, tom. 7, quint. 20. Screber abbildungen der Saougthiere. Il più conosciuto è il ragazzo dell’Asia di 12 anni, trovato nel 1544 nella Wetteravia fra i lupi; i due ragazzi di 9 in 10 anni trovati fra gli orsi della Lituania nel 1661 1694; una ragazza di 17 anni trovata nel 1724 nella selva presso Kranenburg in Oberyssel; un ragazzo di 13 anni trovato nel 1724 presso Hameln, che fu chiamato Pietro, e che fu mantenuto in Inghilterra sino al 1785 senza che abbia imparato a parlare, ed una ragazza di 10 anni trovata nel 1731 in Champagne, 4 miglia distante da Chalous la di cui storia fu descritta da de la Condamine. Essa sembra provenire da una regione freddissima settentrionale.

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deviare dal suo cammino, ma procede inevitabilmente secondo le leggi prescritte, senza produrre simili mutilazioni anche nella forza generativa. Per quanto gli Americani si strappino la barba, ritornano non perciò i peli. Inutilmente gli Europei si radono da 2000 anni la barba, e si tagliano da tempo più rimoto ancora le unghie, ma esse ricrescono sempre. Le nazioni orientali, come Malabari, Siamesi, Aracani, e gli abitanti delle Molucche e delle isole Pasqua si sono studiati inutilmente a prolungare le loro orecchie, mediante grandi pesi, ma non di meno i loro figli nascono con orecchie naturalissime comei nostri. Gli Ottentotti comprimono da secoli il naso de’ loro figli, ed i Caraibi la fronte. Alcuni popoli dell’America meridionale rendono, per mezzo di fasce e forme di creta, le loro teste simili ad un pan da zucchero; e vari altri dell’America settentrionale la formano rotonda, per cui sono chiamati teste di Bonte. A Malicollo comprimono talmente la fronte in dietro, che assomiglia quasi a quella delle scimmie; ma la natura non ha mai ceduto a queste strane violenze.

I Chinesi danno alla loro testa la figura di un ovale difforme; essi tirano in alto

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gli angoli esteriori delle palpebre, e lasciano pochi capelli sulla barba e sul capo. I piedi delle loro donne si ristringono a forza di legare e di mettere piccole scarpe, di modo che possono appena camminare. Sulle isole delle Volpi gli abitanti si fanno un buco sotta la bocca simile ad una seconda bocca; e molti Africani si limano acuti i denti, ed i Malesi li tingono neri col sugo del toxicodendron per distinguersi dagli animali. Le donne arabe tingono le labbra di colore turchino, e le unghie di rosso. I Turchi curano i peli della barba ed i capelli sul capo, e distruggono mediante l’unguento composto di calce viva, e d’orpimento chiamato rusma, tutti gli altri peli sul loro corpo. Quasi in tutta l’America e in tutte le terre meridionali nuovamente scoperte, anche in alcune regioni dell’Asia si usa di passare un filo tinto di nero di fumo sotto la pelle della faccia, per cui si gonfia il volto ec.; ma nulla di ciò si propaga nella generazione, e i figli nascono come i nostri.

Neppure le varietà o le differenze naturali, oltre i quattro colori principali, passano costantemente da generazione in generazione.

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La natura ha voluto conservarsi non solo nella sua forza primitiva, ma pure anche nella sua libertà illimitata. Essa malgrado degl’ infiniti cangiamenti, ha volato esercitare anche la maggior semplicità, e far dominare la massima varietà sotto una forma principale ed una certa uniformità. Se dalla varietà nascesse un’altra specie secondaria, come succede nelle razze, di modo che ciascun fanciullo assomigliasse tanto al padre quanto alla madre, accaderebbe che in un paese intero si osserverebbe lo stesso volto, la stessa altezza, e forse (siccome l’interno va molto d’accordo coll’esterno) anche l’istesso carattere di pensare; ma la natura abborre l’uniformità, ed in tutte le sue opere riluce la varietà.

Potremmo domandare se la natura non abbia da esaurire finalmente la sua ricchezza, mentre in tutte le sue forme, benché travestito e modificato domina sempre lo stesso. Ciò sarebbe possibile e potrebbe darsi, che essa ripetesse e producesse attualmente degli uomini dell’istessa natura, grandezza, e modo di pensare, come quelli che vissero migliaia di anni prima, oppure recentemente; ma d’altronde non è probabile, anzi è presumibile,

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che la natura sia inesauribile nelle sue varietà, e totalmente diversa dall’arte, in cui si riconoscono sempre le medesime figure e forme che l’artista ebbe dinanzi agli occhi. Lamper ha osservato l’accuratezza della natura con cui ha formato le parti del corpo, per esempio, i piedi, incominciando da’ mammiferi sino alle balene; non di meno non si troveranno su questo globo due piedi affatto simili; e forse non ebbe luogo questa somiglianza sino da quando vi sussistettero gli esseri creati; e neppure fra le foglie che sino da principio ornavano la creazione se ne saranno trovate due affatto simili.

Ciascuna parte del corpo, per esempio, il volto, ha un carattere particolare, e ciascuna parte di esso armonizza col resto del medesimo. Volendo abbellirne una parte, tutto il volto diventerebbe mostruoso. Il figlio di un generale a Berlino perdette il suo naso in duello, e, sembrandogli quello troppo grande e difforme, se ne fece fare uno di bellissima forma; ma questo lo sfigurò più del suo, di modo che, avendone provati di varie forme, se ne fece fare uno simile al suo, che poi andò d’accordo col suo volto.

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Quest’armonia dipende dall’originalità della natura, la quale risorge da per tutto in modi inesprimibili. Scorgiamo subito in un’opera d’arte, se essa è tratta dalla natura, o dalla fantasia; ed i grandi artisti, raffigurando anche la Madonna, sogliono imitare la bella poiché nessun’arte può produrre la verità di essa. Lo stesso accade nel regno vegetabile: coltivando, per esempio, le auricole dalle barbatelle, resteranno sempre uniformi in colore e figura; coltivandole però dalla semenza, ciascuna auricola sarà tinta ed abbellita diversamente.

L’età degli uomini è ai tempi nostri ordinariamente sotto i 70 anni, e rari sono gli esempi di una età maggiore. Riguardo a questo l’uomo vive poco, in confronto di tanti animali che passano quasi tutti la ottava o decima parte della loro infanzia. Un cavallo, cui bisognano quattro anni per giungere alla sua altezza, vive 30 e più anni; i cani arrivano sino a 10 anni e più. L’uomo che cresce sino al 20 anno, dovrebbe proporzionataniente giungere sino all’età di 200 anni, ed in fatti alcuni vi sono quasi giunti. In Inghilterra morì nel 1620 Jenkins dell’età

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di 169 anni(1). Il Norvegiano Cristiano Giacobbe Drachenberg morì nel 1772 a Stashas di 145 anni e 10 mesi. Nel 1781 visse ancora a Lommerscthouse un uomo di 140 anni, il quale era stato al servizio militare sino da’ tempi di Carlo I, e godeva allora una pensione dalla corte. A Devonshire visse un fittaiuolo di nome Giovanni Broekey nell’età di 143 anni, sposato colla 13a moglie, e, come vogliono altri, colla 15a. A Filadelfia vive presentemente (1804), Efraimo Pratt nato nel 1687, nipote di un certo Prat, il quale nel 1630 giunse nella Nuova Inghilterra unito ai primi coloni. Efraimo si sposò nel 20o anno, ebbe 6 figli, e 1500 discendenti vivi nell’America settentrionale. Egli non mai ammalò, non si servì mai di medicinali, né mai si fece cavar sangue: possiede la forza di spirito, ha buona memoria, e visitò i suoi discendenti nel 117 anno della sua età.

Poco distante da Bergen nella Norvegia

(1) Ved. Haller Clem. Physiol. tom. VIII, pag. 104. Schreber abbildungen der Saeugthiere. Calendario di Berlino del 1774-75-80-81.

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morì nell’ottobre 1787 Giuseppe Surrington nell’età di 160 anni. Egli conservò la forza de’ suoi sensi sino all’ultimo momento della sua vita. Il giorno prima di morire radunò la sua famiglia, e divise fra essa i suoi beni. Egli fu più volte maritato, e lasciò una vedova giovane con vari figli. Il suo figlio maggiore avea 103 anni, il minore 9.

A Moxente in Valencia visse un vecchio vignaiuolo di 130 anni, che nel suo 68° anno corse a gara con due uomini di 50 anni. Egli aveva conservato tutt’i suoi denti sino al 96° anno, e soleva andare giornalmente in campagna sino al 100° anno di sua vita. 

A Ganclia, nell’istessa provincia Spagnuola, morì nel 1796 Maria Francesca Tosca di 123 anni, la quale, eccettuandone l’udito, conservò tutti i sensi sino all’ultimo momento di sua vita. Essa non aveva osservato una dieta regolare, ma incominciò negli ultimi 10 anni di sua vita a nutrirsi unicamente di frutti, e di pane. È sorprendente che essendo nell’87° anno restata apopletica in seguito d’un accidente, guarì non ostante senza rimedi dopo sei mesi. Ancora più rimarcabile è che essa, dovendolesi tagliare una parte de’

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suoi capelli neri, per una ferita ricevuta alla testa, riebbe in poco tempo bellissimi capelli.

Nell’istesso paese morì nel 1799 a Benimanet, Antonio Navarette di anni 120, il quale era stato marinaro sino a 60 anni, portava gran canestri di pesci sino all’età di 50.

Nel 1800 morì a Chivoh Maria Agostina Netoz di anni 132. Essa si era maritata nel 25° anno; aveva generato 8 figli, e nel 70 anno dopo la morte di suo marito ebbe ancora i suoi mestrui. I suoi cibi prediletti erano latte di capra e sardelle arrostite. Sino all’età di 111 anni fece ogni settimana un cammino di due leghe e mezza, e sino al 130° guadagnò giornalmente due reali. Due giorni prima della sua morte perdette l’udito e la vista, e si addormentò stando a cena.

Da una lettera scritta dall’America meridionale in data del 1° giugno 1799, e della quale fu dato l’estratto nel giornale di Madrid 24 dicembre 1799, si è saputo che allora vi morì una negra di 175 anni.

L’avo dello storiografo prussiano Cristoforo Hartknoch, narra nella sua biografia, che l’avo suo Stefano Hartknoch giungesse

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all’età di 130 anni, e abbia vissuto colla sua sposa Caterina 100 anni in matrimonio. Essa giunse almeno all’età di 120 anni: ambidue vissero dunque 250.

Nella galleria de’ quadri a Dresda vi sono raffigurati due Ungaresi, la donna de’ quali visse 172 anni, e l’uomo 182.