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L’incontro di arie nel condotti sotterranei è cagione che alcuni antri cacciano molto vento con grande veemenza Anche Plinio(1) ha fatto menzione di un tale fenomeno, che poi non è tanto raro. Senza far menzione de’ soffi delle ghiacciaie, se ne contano nella Svizzera circa venti di essi posti in diversi luoghi che tramandano un vento continuo.
Da tempi rimotissimi è conosciuto in Italia il monte Eolo, presso Terni nello stato ecclesiastico, a cagione de’ colpi di vento
(1) Histor. nat. 2. 45. Gli antichi poeti come Virgilio ec. ne parlano spesso.
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che tramanda, e dell’aria fredda che ne sorte con grande strepito, particolarmente ne giorni caldi(1). Siccome l’aria che si trova nella profondità dei di lui antri non può essere riscaldata come la superiore, così, facendo molto caldo, si rompe l’equilibrio tra l’aria interna e l’atmosferica, e mentre l’ultima s’innalza e si rarefà, l’interna occupa il luogo della prima. Questa operazione succede con un grande strepito alloraquando le imboccature degli antri sono chiuse colle porte; meno sensibile è quando le porte sono levate via, ed il passaggio dell’aria è libero. Questo sarebbe sufficiente per ispiegare ciò che accade intorno agli antri di vento.
Gli antri di questo monte probabilmente sono spaziosi e freschi, ed hanno in diversi luoghi alcune sortite anguste. Ciò è verosimile quando riflettiamo che tutti gli antri di vento sono inaccessibili. Le imboccature ristrette dalle pietre o dall’acqua sono
(1) Kircher mundus subterr. Lib. 4, pag. 239. Letters of Several Parts of Europe and the East, written in the Year 1750. Londra 1752. Volkmann histor. kritis. nachricht. von Italien III. vol. pag. 374 ec. Beytraege zur phys. Erdbeschreibung, I pag. 59.
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cagione perché l’aria interna più fredda e più compatta n’esca con veemenza; allargandole perciò cesserebbe questa corrente forte e sensibile.
Presso Motiers in Neuchatel sono due rocce alte 80 piedi, dalla di cui cima si precipita strepitosamente un torrente. Una di queste rocce è interamente vuota, ed ha nell’altezza di 30 piedi sopra il suolo diverse aperture per dove si getta un ruscello abbondante di acqua. Accanto la più grande di queste aperture, e sotto il suolo della cascata, v’è un antro bastantemente spazioso che va profondamente dentro la roccia, ma è difficile di visitarlo a cagione de’ pezzi di rocce che vi giacciono; trenta piedi distante dall’entrata si scorge un’acqua che occupa tutta la larghezza dell’antro. Più che fa caldo, più freddo e sensibile è il vento che ne sorte, e non si può trattenersi all’entrata di esso(1).
Poco distante da Lausanne(2) v’è un antro simile da dove sorte il vento con tanta
(1) Gassendi ad Diog. Laert. p. 1008.
(2) Volkmann Italia tom. 3 p. 366. e 377.
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forza, che gli abiti gettativi sono da esso respinti.
Fuori della montagna Coyer nella Provenza e da altre, sorte un vento freddo a traverso le spaccature, e le aperture.
Diversi antri nella contea Denbig in Inghilterra non solamente respingono sempre le robbe leggeri gettatevi, come fazzoletti, abiti ec.; ma pure le lanciano altamente in aria, cosa che spiega benissimo la forte corrente inferiore dell’aria. In alcune città dell’Italia, per esempio, in CESI, nella valle tra Narni, e Terni, ed in alcune case di campagna intorno al monte Eolo, servesi di quest’aria sotterranea per rinfrescare le stanze e le cantine. A quest’uopo si mettono tubi in tali buchi chiamati BOCCHE, o GROTTE DI VENTO, e si conduce l’aria nelle stanze; e spesso essendo molto riscaldata l’aria atmosferica, si è necessitato di chiudere questi tubi per la forza dell’aria che tramandano.
L’antro non essendo di natura molto raffreddato a cagione delle vene di lo scioglimento di esse, oppure per altre circostanze; e regnando in esso il calore solito delle cave, allora, durante i giorni freddi,
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passerà in essa una corrente d’aria, come è stato osservato intorno al monte Eolo(1).
L’antro burrascoso (Blowing Cave) nella Virginia ha 100 piedi circa di diametro; esso tramanda incessantemente un vento sì forte, che tutt’i vegetabili per la distanza di 20 braccia dall’antro sono totalmente piegati a terra. La corrente di aria è più forte essendo la stagione fredda e secca, e più debole in tempo di piogge continuate.
Quanto agli antri, ed alle spaccature delle montagne, ove accade il fenomeno che l’aria è attirata ora con forza, ed ora è rigettata, si è voluto dare una spiegazione, come se questi antri avessero una qualche comunicazione con sorgenti che crescono e calano, e che imbevono l’aria mentre li vasi di acqua si vuotano, la qual aria poi venga rigettata dall’antro, alloraquando i vasi nuovamente si riempiono di acqua; ma una continua corrente d’aria che spinge al di fuori, e che cresce e cala solamente secondo la siccità e l’umidità dell’aria, richiede un’ipotesi totalmente diversa.
(1) Nell’istesso luogo secondo l’osservazione dell’Inglese Matthews.
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Nelle montagne di Cumberland, un miglio distante dal confine della Carolina, v’è ancora un antro di vento, sul quale però non abbiamo alcun’altra relazione, se non che l’aria n’esce senza interruzione, e che ne sorte una sorgente.
Un vero vulcano d’aria è il monte MACALUBA in Sicilia. Esso e tutta la regione circonvicina, chiamata AGRO MAYHARUCO, portano questo nome dallo sconvolgimento del terreno. Questa regione si trova immediatamente dietro a Girgenti. Il suolo è calcare, coperto di monti e di colline di natura argillosa, la di cui sostanza è la pietra di gesso. Il Macaluba stesso è un monte argilloso con una sommità un poco spianata, in guisa che assomiglia ad un cono troncato. Sul piano della sommità, che ha quasi un miglio italiano di circuito, si veggono molti coni troncati ora dell’altezza di alcune linee ed ora di tre piedi. Tutti questi coni hanno sulla sommità piccoli crateri. Il suolo affatto infruttifero è composto di un’argilla grigia e diseccata, piena di screpolature in modo, che si possono alzare pezzi della grossezza di 415 pollici. Passandovi sopra, si osserva dal movimento ondeggiante ch’è posto sopra una
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materia a metà fluida, la quale riempie un gorgo immenso ove si corre ogni momento pericolo di affondare.
I crateri delle piccole colline sono sempre umide, e dal loro fondo si vedono continuamente innalzarsi l’argilla sciolta, che in forma di emisfero monta fino al margine, ove, a cagione dell’aria inferiore, scoppia con istrepito e trabocca; un bastone messa nell’apertura di un tal cratere è a poco a poco levato fuori, ma senza slanciarlo. Alcune colline tramandano l’aria senza alzare l’argilla; altre piccole aperture sono riempite di acqua salata ove s’innalzano le vessiche d’aria come se bollisse. Sovente si osserva su quest’acqua un olio resinoso che ha molto odor dello zolfo. Nell’inverno la pioggia rendendo molte frequentemente la volta argillosa, allora si abbassano i coni, e l’intero gorgo è riempiuto di una melma morbida per la quale prorompono continuamente bolle di aria. Questo è lo stato ordinario della montagna; ma qualche volta fa eruzioni terribili. Addì 30 di settembre 1777, una mezz’ora prima dello spuntare del sole, si sentiva un cupo rumore che crescendo superò in fine il tuono. La terra si scosse, fece alcune spaccature, ed il
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gorgo del Macaluba si aprì per 10 palmi. S’innalzò fino a 80 palmi una specie di nuvola mista di colori di fuoco, e composta di melma e di argilla, che parte cadde sulla regione circonvicina, e parte ricadde nel gorgo. L’eruzione durò una mezz’ora, e ritornò tre volte dopo un intervallo d’un quarto d’ora per volta. Durante ciò si osservò sotto terra un movimento di masse considerabili, e per la distanza di 3000 passi si sentì un rumore simile al mare burrascoso. La melma coprì la regione circonvicina fino all’altezza di 6 palmi, riempi alcune valli; e benché fosse morbida e fluida il giorno dell’eruzione, ciò non ostante si poté passarvi sopra all’indomani, e guardare nel gorgo. II gorgo tramandò ancora un qualche odore sulfureo; ricomparvero le antiche aperture che durante l’eruzione erano state otturate. Un rumore sotterraneo fece sospettare una nuova eruzione, e si credette esserne la cagione principale un fuoco sotterraneo. Dolomieu mise prima la mano, e poi l’intero braccio nel cratere e nell’acqua zampillante, ed invece di sentire il caldo scoprì ch’era fredda. Il termometro che nell’aria libera indicò 23 gradi, e mezzo, cadde durante l’esperimento
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per 3a: alcun odore di zolfo, alcun vapore, in una parola, né anche il minimo indizio di un fuoco esistente poté scoprirvisi: anche le materie non ve fecero supporre; esse contenevano lo spato di calce affatto invariabile, egualmente che pietre calcari, e frammenti di pietra specolare e di argilla grigia, tutte materie che facilmente si cangiano nel fuoco. L’aria che sortì della montagna era mefitica, il lume si estinse subito in essa, e mista di aria comune, non bruciava.
Dolomieu suppone dunque che essendo il suolo dell’intera regione di natura calcare, e coperto di montagne e di colline di argilla grigia e tenace, le quali per la maggior parte contengono una sostanza in gran parte di gesso, nel Macaluba sia nata in qualche modo una sorgente di acqua salata. Questa è una circostanza che facilmente poteva accadervi, mentre in questa regione il sale minerale si trova in grande quantità. Quest’acqua scioglie l’argilla, e la spinge verso i lati della montagna. L’acido di vitrinolo dell’argilla, a cagione dell’affinità, si unisce colla materia fondamentale del sal marino, e sviluppa con ciò una quantità di gaz mefitico che si precipita sulla calce, la quale forma
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quivi la base. Per l’unione di questa nuova materia fondamentale si sviluppa in seguito anche una quantità di aria fissa che s’innalza a traverso l’argilla sciolta, e passa alla superficie. L’acido di vitriuolo dell’argilla può, oltre ciò, unirsi ancora immediatamente colla terra calcare, e produrre il gesso. Durante l’inverno, essendo per le piogge continuate l’argilla maggiormente ammollita, può l’aria sortire in maggior quantità e più liberamente. Nell’estate al contrario, essendo l’argilla coperta di una crosta dura, può essa sortire solamente in que’ luoghi che presentano minor resistenza. La terra che è innalzata dall’aria, quando questa sorte, si accumula, e così nascono i coni nel di cui centro l’aria si tiene un passaggio libero. Se per un calore continuato la volta diventa troppo dura, l’aria si aumenta di sotto, e vi nascono tremuoti, tuoni sotterranei: e se finalmente l’elasticità di essa è superiore, seguono eruzioni terribili. L’aria fissa dunque è quivi l’unica cosa ch’è attiva. Il vapore che si osserva in tali eruzioni null’altro è che acqua svolta in vapori, e lo splendore del fuoco che si osservò nel 1777 era solamente il riflesso del sole nascente.
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Sarebbe forse possibile che per mezzo di bitume e di petrolio, che frequentemente vi si trovano, possa comporsi un’aria infiammabile; ma l’infiammazione di essa diventa totalmente impossibile a cagione della perdita dell’aria comune nell’interno della montagna, e particolarmente per la mescolanza de’ vapori mefitici.
Nella vicinanza del Macaluba si trovano molto piccole colline ove si scopre lo stesso fenomeno, ma con minor effetto, e perciò sono chiamate Macalubetto(1).
(1) Ved. Dolomieu, Voyages aux isles de Lipari.